lunedì 10 maggio 2010

Olinda Giraldo, l’ultima inquilina del Casone Azzurro


Si ignora quando il casone fece la sua comparsa in Veneto. È certo che, sin dall'epoca tardo-romana nella regione c'era l'usanza di costruire ricoveri e magazzini utilizzando frasche e paglia, ma la loro evoluzione definitiva avvenne probabilmente dopo le conquiste della Serenissima. La terraferma, infatti, divenuto ora il "granaio" di Venezia, doveva far fronte al crescente fabbisogno alimentare della capitale e dell'esercito, allorché c'era bisogno di costruire rapidamente molti ricoveri per famiglie numerose, che rappresentavano la manodopera del tempo. Solitamente i proprietari terrieri offrivano ai mezzadri un fondo dove costruivano loro stessi il proprio casone che, inizialmente, era poco più che un capanno abitabile solo durante la stagione agricola. In seguito si andarono evolvendo in strutture più solide e squadrate, con molti elementi in muratura.


Da non dimenticare che esiste una differenza con i casoni di laguna, come quelli di Caorle: questi ultimi non presentavano muratura. Entrambi erano comunque molto facili da bruciare, ragion per cui non ne esistono in terraferma.

Ad Arzergrande, e precisamente a Vallonga, il comune ha restaurato uno degli ultimi casoni, il Casone Azzurro, ed abbiamo potuto visitarlo nell’occasione delle festa organizzata da Legambiente.

Ed abbiamo incontrato Olinda Giraldo, che l’ha abitato fino a quattro anni fa: il marito faceva il pescatore (siamo a due passi dalla laguna), ma il casone presenta le caratteristiche terragne: aveva un piccolo appezzamento di terra, c’è la stalla dove era ricoverata la mucca, una capra. I muri sono da 13, ma sostengono bene il tetto, che conserva le travi originali. Mi ha colpito un fatto: il pavimento era in terra battuta, ed ogni anno era letteralmente zappato e lo strato di terra superficiale sostituito, per fare pulizia. Olinda, nonostante tutto, aspira a ritornare qui, ma mi sa che i servizi sociali non ci sentono.

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