sabato 22 agosto 2009

Comunicare per Esistere


Terre di Venetia


L'Associazione Internazionale Azione Borghi Europei del Gusto e l'Accademia Terre di Venetia, in collaborazione con la rete di informazione L'Italia del Gusto, promuovono una 'visita d'informazione' nel Medio Friuli per far incontrare a 'filò' imprenditori, pubblici amministratori, rappresentanti di associazioni, giornalisti e comunicatori che operano nelle comunità locali.
L'incontro si svolgerà martedì 25 agosto, presso la Sala Degustazione dell'Azienda Vitivinicola Ferrin a Camino al Tagliamento, seguendo questa 'scaletta':
ore 11,00: Presentazione delle iniziative e della rete dei Borghi Europei del Gusto;
ore 11,20: Interviste in diretta agli invitati: Comunicatori e Giornalisti 'ascoltano' le voci del territorio;
ore 12,30: Degustazione delle eccellenze del Medio Friuli
Ognuno porterà i propri racconti e i segni materiali (vini, eccellenze, libri, documenti, parole...) del proprio territorio.

Gli Obiettivi concreti dell'incontro:
- realizzazione di almeno 100 servizi informativi online sul Territorio e sulle Aziende, grazie al network BlogAzzurro;
- realizzazione di uno 'speciale Medio Friuli' nella rivista nazionale le Terre;
- realizzazione di uno speciale nella rivista le Cronache del gusto;
- formazione di un gruppo di lavoro-delegazione che parteciperà al Festival Europeo del Gusto
che si terrà in dicembre a Salvore e Buie (Istria-Croazia)
- inserimento Ufficiale del Medio Friuli nella rete dei Borghi Europei del Gusto

Segreteria Incontro: 366.5397233, info@italiadelgusto.com http://www.italiadelgusto.com/

lunedì 17 agosto 2009

Uno strumento per restare nella tradizione

La comunicazione nelle nostre realtà

Nella crisi economica del Paese Italia, la piccola e media industria, che nelle Venezie resta indiscussa protagonista, ha rappresentato un argine alla crisi, molto più che la grande industria, per tutto il 2008.
Anche nel Nord-Est i fattori propulsivi dello sviluppo economico hanno subito una attenuazione però il Veneto, roccaforte della piccola media industria, si e ripreso in pieno con aspettative improntate all’ottimismo che nonostante tutto si ripropongono nel corso del 2009 dove la crisi economica mondiale è esplosa con particolare virulenza. Ora è vero che la stretta creditizia ha colpito soprattutto le piccole e medie aziende, notoriamente e storicamente sottocapitalizzate.
Dove possibile, occorre produrre di più e meglio, e seguire con più attenzione mercati e consumatori: se le banche vogliono strangolare il nostro sistema, ricordiamo che vivono solo perché ci depositiamo i nostri soldi. A buon intenditor poche parole.
Dobbiamo tornare alle nostre tradizioni: quelle venetiche dei commerci di cavalli ed ambra e quelle veneziane e venete rivolte all’Europa. Non dobbiamo fare l’errore della Serenissima, che si racchiuse in se stessa e fatalmente decadde.
Quello che manca è la comunicazione: anche se c’è, è frammentaria e malfatta, destinata a perdersi nella confusione di voci. Una volta si usava l’osteria come luogo di incontro, di affari e di comunicazione. Oggi le osterie scarseggiano, e il mondo forse è diventato troppo complicato per utilizzarle come un tempo.
Allora proponiamo uno strumento diverso per la comunicazione territoriale (interna e verso l’esterno) ed aziendale: intendiamo la comunicazione nelle sue varie forme, che si devono adattare ad ogni singola realtà, perché gli scopi e i risultati siano misurabili e conformi.

Andiamo verso la Terza Venetia?
















Il Veneto è una delle due regioni d`Italia i cui abitanti sono riconosciuti ufficialmente come popolo dal Parlamento Italiano. Ma questo limite geografico e amministrativo è restrittivo rispetto alla realtà, ma andiamo con ordine.
L'identità veneta affonda le sue radici in epoche antichissime, anteriori alle conquiste romane: la civiltà dei Veneti Antichi (o Venetkens), che durò più di 1.000 anni.
Gli antichi veneti avevano sviluppato una loro lingua - il venetico - e passarono alla storia come fra i più grandi allevatori di cavalli del tempo e grandi commercianti di ambra.
Il popolo veneto è uno dei pochi della penisola italiana a vantare un continuum dagli albori della storia, se non della preistoria. Si ha notizia dei primi Veneti insediati nel nord est della penisola, ma in un areale molto più vasto dell'attuale, fin da IX secolo a.C. stando ai rinvenimenti archeologici, dalle situle - vasi funerari in bronzo - ai reperti venetici trovati anche in Slovenia, Istria, nell'attuale Austria – Corinzia, fino ad Adria.
Le teorie sulle loro origini sono contrastanti, ma si inizia ad accettare l'idea (vedi Pallottino, Devoto e altri studiosi) che essi provenissero dal mar Baltico, o comunque dal centro Europa, e che siano giunti nella penisola commerciando l'ambra di quelle zone.
Secondo una nuova interpretazione e traduzione, lo studioso sloveno Matej Bor collocherebbe la lingua degli antichi veneti nell'area protoslava, cosa per la verità non accettata dagli studiosi italiani, che collocano la formazione del venetico in Italia, ritenendolo affine al latino (anche se all'epoca del venetico il latino era ancora in formazione).
Attorno al II secolo a.C. iniziò la cosiddetta fase della "romanizzazione": i veneti non furono mai conquistati dai romani ma ne divennero alleati, accettando di diventare parte integrante del mondo romano. Essendo alleati e non dei vinti, come era d'uso, essi poterono mantenere le loro tradizioni, leggi e costumi anche se tra il secondo e terzo secolo dopo Cristo si perse l'uso della lingua venetica. Il latino che si incominciò a parlare mantenne però la cadenza e certe caratteristiche della lingua antica.
Sotto l'imperatore Augusto le terre venete divennero la "Decima Regio - Venetia et Histria", (la prima Venetia) parte integrante dell'Impero Romano, che riconosceva quindi a questa zona un unico connotato culturale.
La caduta dell'impero romano mise il seme della nascita di Venezia, che portò avanti l’eredità dei padri antichi, nella legge (vedi il "diritto veneto", che era peculiare e diverso dal "diritto romano", essendo diverse le fonti e le origini) e nelle tradizioni, dando vita nel contempo ad una nuova civiltà veneta, ammirata e rispettata in tutto il mondo.
I Veneti profughi dall'entroterra fondarono la capitale in laguna. Venezia, la "città dei Veneti", per un breve periodo iniziale subì l'influenza bizantina, anche se con tutta l'autonomia che le derivava dai suoi nascenti commerci e dalla sua nascente flotta, destinata un giorno a dominare l'intero Mediterraneo.
La Serenissima Repubblica Veneta (la seconda Veneta) costituì un modello di Stato parlamentare e federale unico al mondo, a cui si ispirarono fra gli altri anche i padri fondatori degli Stati Uniti d'America. Quella Veneta fu la più longeva Repubblica al mondo, durò più di 1.100 anni.
I popoli ad essa annessi lo fecero di loro spontanea volontà. Il termine di "Dominante" che spettava alla capitale è senz'altro fuorviante, se preso nell'accezione moderna, poiché in realtà tra i popoli (diversissimi tra loro) governati e Venezia ci fu soprattutto un vincolo di affetto filiale, nel loro sentimento, e paterno, nel sentimento di chi li governava.
Col tempo la Repubblica pose le proprie basi sulle sponde dell'Istria e della Dalmazia e si rivolse poi all'entroterra, consapevole di rioccupare territori che erano veneti già da millenni. Treviso, ad esempio, fu la primogenita del futuro "Stato de tera" e si "dedicò" alla Repubblica Veneta - cioè chiese ed ottenne di esserne annessa - nel dicembre del 1338.
Venezia assunse questo nome solo nel III secolo e sorse come centro intorno al V secolo con il nome di "Rivo Alto" (Rialto), formando successivamente una federazione con altre città venete della costa adriatica, da Grado a Chioggia. Questa unione politica nel 697 divenne uno Stato unitario con l'elezione popolare - fatto alquanto unico e raro in un mondo in cui imperavano re, sovrani e despoti - di un unico capo, il Doge (duca).
Il Doge era quindi l'espressione dell'arengo, o consiglio dei capifamiglia, tradizione, quella dell'assemblea, che si tramandava dai tempi dei Veneti antichi.
La Serenissima, quando da “Dogado” (circoscritto alla Laguna) diventò un vero e proprio Stato, si strutturò come Stato federale.
Ogni città annessa, fosse veneta o meno, era considerata e chiamata “nazione” (la nazione bergamasca, la nazione bresciana ecc.).
Lo splendore della Repubblica fu costruito sulle enormi ricchezze derivanti dal commercio, favorito al massimo in maniera che fosse la principale fonte d'entrata dello Stato, il quale manteneva assai leggera la pressione fiscale sui sudditi. Era promosso e protetto lo sviluppo di ogni forma di Arte e corporazione, ossia le categorie economiche, e all'aprirsi della bella stagione si formavano due enormi convogli marittimi, uno diretto verso l'Asia, l'altro verso l'Oceano Atlantico.
Il proverbiale attaccamento dei cittadini (ma allora si chiamavano sudditi, come oggi gli inglesi) allo Stato Veneto fu la vera forza della nazione; davanti al bisogno della patria tutte le comunità, i popoli e le classi sociali si mobilitavano, greci albanesi slavi che vivevano dentro i suoi confini erano considerati “nazionali” a tutti gli effetti, e così chiamati nei documenti; ognuno aveva diritto a parlare la propria lingua, a reggersi con le proprie leggi, a seguire i propri costumi. Valori e conquiste che sono stati molto spesso cancellati dagli stati cosiddetti moderni, che si spartirono i territori veneti alla caduta della Serenissima.
Per quattro lunghi secoli la Serenissima costituì una diga possente contro la travolgente ondata ottomana che, forte di immense armate, ambiva al controllo del Mediterraneo. Ma Venezia la fermò. Tutti hanno sentito parlare di Lepanto (7 ottobre 1571) la cui vittoria si deve in gran parte all'apporto veneto e alla vittoriosa strategia di Sebastiano Venier, Capitano da Mar della Repubblica Veneta.
Alla fine del Trecento l'Istria e la Dalmazia divennero possedimenti stabili. Nel frattempo si aprì una serie di guerre in terraferma che videro la Serenissima prevalere sulle signorie locali, sbaragliando i Carraresi di Padova, gli Scaligeri di Verona, il Patriarca filo-imperiale di Aquileia e persino i potenti Visconti di Milano
Nel Quattrocento Venezia ha ormai formato il suo Stato, che comprende uno Stato di Terra e uno Stato da Mar estendendo i confini ad est ed ad ovest entro i limiti dell'antica Decima Regio. Lo Stato di Terra andava dall'Adda a ovest all'Istria ad est; Stato da Mar arrivava invece ad occupare tutta la costa dalmata più qualche isola della Grecia. Questo è forse il periodo più splendido e florido per la Serenissima: immense ricchezze si accumulano a Venezia, e ne beneficia tutto lo Stato perché ogni città può esportare in tutto il Mediterraneo e l'Europa del Nord i suoi lavorati e semilavorati.
Il governo veneto è amatissimo da tutti i suoi concittadini e si forma ormai un sentimento nazionale veneto (ma dovremmo dire si riforma) il cui simbolo è il Leone marciano, adottato già nel trecento sulle bandiere.
All'inizio del Cinquecento la Repubblica rischiò di sparire, stretta com'era da potenze ostili nella penisola italiana (che temevano la sua espansione continua) e in Europa. Intere nazioni coordinate dal Papato si allearono contro Venezia, formando la lega di Cambray: fu la prova più terribile per la Serenissima, ma i governati veneti ebbero modo di capire di aver fondato un vero Stato, coeso e unito alla capitale, nonostante le grandi autonomie garantite. Tutto il popolo della terraferma partecipò alla lotta contro l'invasore.
Quando nel 1797 Napoleone Bonaparte penetrò nel nord della penisola italiana all'inseguimento delle truppe austriache in ritirata, Venezia si mantenne neutrale. Tuttavia, capìta la debolezza del ricco, florido, ma militarmente debole ospite, egli pensò di impadronirsi delle ricchezze dei Veneti accumulate nel corso dei secoli e di fare dello stato veneziano merce di scambio con gli Austriaci. Si inventò quindi di sana pianta un "casus belli" per imporre la fine del legittimo governo veneto ed istituire uno stato fantoccio, premessa della fine della millenaria Repubblica Serenissima anche come Stato, non solo come istituzione.
Nel marzo di quell'anno il Maggior Consiglio per risparmiare la popolazione accettò le dure condizioni di Napoleone, ignorando che già in aprile a Leoben, in Stiria, la Francia aveva concordato in gran segreto con l'Austria la cessione dei territori veneti.
Naturalmente il territorio subì un saccheggio terribile e i veneti furono costretti a vendere persino i panni che indossavano o le fibbie d'argento delle scarpe per far fronte a una tassazione feroce da parte dei francesi.
Il popolo in particolar modo dapprima impugnò le armi contro gli invasori (famoso resta l'esempio delle "Pasque Veronesi") e poi manifestò in ogni forma il suo cordoglio: celebre è l'episodio di Perasto, cittadina sulle bocche di Cattaro, oggi nel Montenegro, che fin dai tempi antichi custodiva la bandiera dell'ammiraglia della flotta da guerra veneziana. Per secoli era rimasta in vigore l'usanza secondo cui dodici gonfalonieri perastini erano designati a difenderla, fino al prezzo della vita, come accadde a Lepanto, sul ponte della nave.
Quando nell'agosto 1797 il barone Rukovina volle prendere possesso della cittadina a nome dell'imperatore d'Austria, i perastini chiesero gli onori solenni alla bandiera veneta, e la seppellirono sotto l'altare della chiesa, dopo averla baciata tutti e bagnata di lacrime. Era il 27 agosto 1797 quando il "Capitan de le Guardie" Giuseppe Viscovich seppellì sotto l'altar maggiore del Duomo la bandiera veneta, pronunciando un discorso di grande amor patrio*.
Con il Congresso di Vienna nel 1815 la Veneta Repubblica fu l'unico Stato di grandi dimensioni - travolto da vent'anni di guerre - a non essere restaurato perché l'Austria se ne appropriò. La perdita dell'indipendenza segnò per i Veneti l'inizio di una discesa terribile, fatta di stenti, fame e miseria, condizione che si trascinò fino agli anni '50, costringendo metà della popolazione ad emigrare in tutto il mondo.
Nel 1866, al termine della guerra perduta con l'Austria, il Regno d'Italia riuscì comunque a farsi consegnare, grazie alla sua alleanza con la Francia, le terre venete e friulane.
Il 1866 per i Veneti è stato un anno di profondi e radicali cambiamenti sotto tutti i punti di vista: sociale, politico ed economico. A Lissa la marina austro-veneta combatté e vinse per mare contro la marina italiana/piemontese. Era il 20 luglio e la Battaglia di Lissa passò alla storia come l'ultima grande vittoria della flotta veneta (la maggior parte dei marinai infatti provenivano dalle terre dell'ex Repubblica Veneta): gli ordini venivano dati in lingua veneta e al grido "....daghe dosso, Nino, che la ciapemo" l'ammiraglio Tegetthoff ordinò a Vincenzo Vianello da Pellestrina sul finire della battaglia lo speronamento della corazzata "Re d'Italia", che affondò di lì a pochi istanti. Di fronte a quella vittoria gli equipaggi veneti risposero lanciando i berretti in aria e gridando "Viva San Marco!!". Questo era ancora lo spirito delle genti Venete.
Al termine del conflitto, gli austriaci vollero onorare i caduti nostri con un bel monumento, proprio a Lissa, su cui fecero incidere i nomi dei marinai veneziani e dalmati caduti e questo motto: "Uomini di ferro (i marinai veneti, ndr) su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro". Quando l'Italia fascista occupò la Dalmazia, tale monumento fu asportato dalla Marina italiana e è ora conservato all'accademia militare di Livorno.
Negli anni appena successivi l'annessione all'Italia arrivò un'ondata di povertà mai vista in Veneto: nuove tasse - come la tristemente famosa "tassa sul macinato" - e la leva obbligatoria, che privò le famiglie venete dell'aiuto dei giovani, stroncarono l'economia contadina veneta. Appena dopo l'unità d'Italia iniziò uno dei più grandi esodi nel mondo: l'epopea dell'emigrazione veneta. I veneti furono costretti ad abbandonare la loro terra e le loro case, in cerca di una nuova vita, dalle foreste del Brasile alle miniere del Belgio, era l'inizio di un'emigrazione dalle dimensioni bibliche: fra 1876 e 1901, su una popolazione di circa tre milioni, dovettero emigrare oltreoceano 1.904.719 Veneti.
Successivamente, le due guerre mondiali trasformarono la terra veneta in un campo di battaglia, con la distruzione di intere città. Dopo la seconda guerra mondiale, la nuova costituzione repubblicana sancì l'allontanamento del re d'Italia e, nel 1970, si formò la Regione del Veneto come forma di autogoverno, ridotta però a dimensioni minime, privata del Friuli, della Venezia Giulia, e delle genti venete del trentino che sarebbe stato logico accorporare in una macroregione per motivi storici, di cultura uniforme e di lingua (tranne che per il Friuli).
Grazie alla loro proverbiale dedizione al lavoro e al senso di sacrificio che da sempre li caratterizza, i Veneti hanno potuto rimettere in piedi da quel momento la propria economia, tanto da creare un vero e proprio modello industriale e di sviluppo: nasceva così il "fenomeno Nordest", da molti chiamato anche "la locomotiva d'Italia".
Ma la prima fonte economica per il Veneto è senza dubbio il turismo: è la prima regione italiana per flussi turistici.
Fa gli altri primati, i veneti sono primi o ai primissimi posti per solidarietà, per donazione organi e sangue, per riciclo delle immondizie, per accoglienza verso gli stranieri.
L'agricoltura in parte ha perduto l'abbondanza del passato, ma può sempre contare sulla fertilità della pianura veneta. .