La delegazione Alte Terre della rete di informazione l'Italia del Gusto ha promosso in questi anni la valorizzazione delle eccellenze della montagna bellunese e trevigiana, proponendole soprattutto nel corso delle quattro edizioni della rassegna informativa A Tu per Tu con il cielo.
Milies (Segusino), il Monte Avena (Pedavena), Settimo Vittone (Torino), Budoia (Pn), sono state le tappe dell'iniziativa, che ha portato alla nascita della Tavola di Budoia, Azione-Circuito di borghi di Montagna della Associazione Internazionale Azione Borghi Europei del Gusto.
Nel corso del Festival Europeo del Gusto 2010 verrà presentata la quinta edizione di A tu per Tu con il cielo, che si terrà nel 2011 in provincia di Treviso e di Belluno, come era già stato annunciato nella festa-incontro che si era tenuta all'inizio dell'estate a Pez di Cesiomaggiore.
Un impegno che la delegazione Alte Terre svilupperà con una squadra di imprenditori e comunicatori del tutto inedita,puntando a far conoscere l'iniziativa soprattutto nei paesi europei della rete.
http://www.bedo.it/alpinforma/31216/%26%23039%3BA+tu+per+Tu+con+il+cielo%26%23039%3B,+da+Andy+il+Fornaio+a+Pez+di+Cesiomaggiore.html
venerdì 29 ottobre 2010
Il Friuli più 'nascosto' al Festival Europeo del Gusto
Le delegazioni del Medio e Basso Friuli e del Pordenonese della rete di informazione l'Italia del Gusto hanno svolto nel corso del 2010 una intensa attività di 'visite gustose' di giornalisti e comunicatori, al fine di far conoscere e valorizzare le aziende del settore agroalimentare di un territorio troppo spesso 'dimenticato'.
Due,in particolare, le occasioni da ricordare: l'incontro dell'Azione Terre della Storia a Valvasone (Pn),presso l'azienda agricola Borgo delle Oche (in collaborazione con la Civica Amministrazione e la Pro Loco) e il tradizionale appuntamento con Asparagorgo , a Gorgo di Latisana (Ud).
Alcune aziende parteciperanno al Festival Europeo del Gusto in Veneto, per presentare le caratteristiche e le eccellenze di un Friuli più 'nascosto' e meno conosciuto.
Valvasone,Camino al Tagliamento,Varmo,Savorgnano (San Vito al Tagliamento),Bagnarola di Sesto al Reghena,Gorgo di Latisana sono le comunità locali rappresentate.
http://www.comune.valvasone.pn.it/
Due,in particolare, le occasioni da ricordare: l'incontro dell'Azione Terre della Storia a Valvasone (Pn),presso l'azienda agricola Borgo delle Oche (in collaborazione con la Civica Amministrazione e la Pro Loco) e il tradizionale appuntamento con Asparagorgo , a Gorgo di Latisana (Ud).
Alcune aziende parteciperanno al Festival Europeo del Gusto in Veneto, per presentare le caratteristiche e le eccellenze di un Friuli più 'nascosto' e meno conosciuto.
Valvasone,Camino al Tagliamento,Varmo,Savorgnano (San Vito al Tagliamento),Bagnarola di Sesto al Reghena,Gorgo di Latisana sono le comunità locali rappresentate.
http://www.comune.valvasone.pn.it/
giovedì 28 ottobre 2010
Il Cenacolo del Gusto del Montello rilancia le iniziative
Il Cenacolo del Gusto del Montello, coordinato da Sandro Facchin (in arte fornaio, in quel di Ciano del Montello), ha tenuto un incontro presso la Pizzeria da Lino,per decidere la forme di partecipazione al Festival Europeo del Gusto.
Dopo l'incontro di inizio anno a Nervesa della Battaglia, il Cenacolo ha scelto per il 2010 di realizzare un intenso programma di partecipazioni 'esterne',per far conoscere e valorizzare il proprio territorio.
Numerosi e qualificati sono stati gli interventi a manifestazioni nazionali e internazionali (oltre dieci in Italia e all'estero),che hanno confermato la giustezza delle scelte, anche a fronte degli ultimi dati sul turismo a Montebelluna e sul Montello ( - 2,5%).
Da anni la rete di informazione L'Italia del Gusto e l'associazione l'Altratavola denunciano l'inerzia dei soggetti istituzionali e il localismo esasperato di molte iniziative.
Al Festival Europeo del Gusto verrà presentato un 'quaderno' sull'arte del pane, realizzato dai comunicatori dell'associazione l'Altratavola e da Sandro Facchin,con annotazioni culturali e indicazioni alimentari.
http://www.magicoveneto.it/Trevisan/Montello/Montello.htm
Dopo l'incontro di inizio anno a Nervesa della Battaglia, il Cenacolo ha scelto per il 2010 di realizzare un intenso programma di partecipazioni 'esterne',per far conoscere e valorizzare il proprio territorio.
Numerosi e qualificati sono stati gli interventi a manifestazioni nazionali e internazionali (oltre dieci in Italia e all'estero),che hanno confermato la giustezza delle scelte, anche a fronte degli ultimi dati sul turismo a Montebelluna e sul Montello ( - 2,5%).
Da anni la rete di informazione L'Italia del Gusto e l'associazione l'Altratavola denunciano l'inerzia dei soggetti istituzionali e il localismo esasperato di molte iniziative.
Al Festival Europeo del Gusto verrà presentato un 'quaderno' sull'arte del pane, realizzato dai comunicatori dell'associazione l'Altratavola e da Sandro Facchin,con annotazioni culturali e indicazioni alimentari.
http://www.magicoveneto.it/Trevisan/Montello/Montello.htm
mercoledì 27 ottobre 2010
Verteneglio : semplicemente da visitare
Verteneglio è un paesino di 2.000 abitanti situato nella parte nord-occidentale dell’Istria, in Croazia. La stretta vicinanza di Verteneglio con il territorio sloveno ed italiano ha fatto sì che da sempre la gente di Verteneglio si identifichi di più con la tradizione e i costumi italiani piuttosto che con quelli croati; nel 1991 la maggioranza della popolazione del Comune di Verteneglio ha dichiarato di essere di nazionalità italiana - questo risultò essere l’unico comune in Croazia nel quale il numero degli abitanti appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria superava il numero delle persone appartenenti alle altre nazionalità, mentre adesso la percentuale è scesa al 33%.
Offerta turistico-culturale
L’Ente comunale per il turismo di Verteneglio si occupa della promozione turistica del paese e dello sviluppo di nuovi segmenti e prodotti turistici ed attività in base alle risorse disponibili, seguendo sempre attentamente gli interessi e le esigenze degli ospiti e visitatori. Il pluripremiato campeggio „Park Umag“, situato accanto all’abitato di Carigador, a pochi chilometri dal centro comunale, è uno dei campeggi più grandi del Mediterraneo, e gli interessanti contenuti sia d'animazione che per bambini lo rendono ideale per la vacanza di tutta la famiglia. Sul territorio è presente anche un piccolo boutique hotel a gestione familiare, il quale ha riscosso un ottimo successo durante gli anni scorsi. L’ offerta turistica ricettiva è inoltre arricchita da diversi agriturismo e case vacanza ai quali fa da cornice l’ ambiente autoctono istriano.
È stata recentemente ultimata la prima fase di ricostruzione dell’edificio del vecchio mulino situato nel centro dell’abitato che diverrà la sede del Museo del vino, unico per il suo genere in tutta l’Istria. Numerosi i contenuti del museo, dall' enoteca ad un piccolo amfiteatro previsto per le attività culturali, musicali ...
Tra le numerosi manifestazioni di carattere turistico-tradizionale Verteneglio è particolarmente fiera della Festa della malvasia istriana, giunta ormai alla 27-esima edizione. Ad arricchire il programma all' insegna dell' ottimo vino di rinomati produttori del territorio istriano, nazionale ed internazionale, c' è anche il Pallio delle botti, al quale ogni anno partecipano le squadre di diverse città e comuni membri dell' associazione Città del vino.
A Verteneglio la tradizione artistica è presente da più tempo: nel 1971 si stabilì a Verteneglio lo scultore accademico Aleksandar Rukavina, dal 1996 a Verteneglio ha sede l’Agenzia della democrazia locale per l’Istria, da menzionare anche il gruppo vocale Volta che rappresenta il Comune in numerosi incontri nazionali e internazionali. Ad arricchire la tradizione musicale del paese provvede anche il Centro Studi di Musica Classica “Mauro Masoni” presso la locale Comunità degli Italiani. A riunire i cittadini di Verteneglio contribuisce anche la neonata associazione “Amici della natura Zenone” particolarmente orientata alla difesa della natura.
Sapori enogastronomici ed attrazioni naturali
A contradistinguere il territorio comunale di Verteneglio è la forte concentrazione di produzione di vino. A Verteneglio ci sono infatti sei vitivinicoltori che imbottigliano ed etichettano il proprio vino e che possiedono una cantina vinicola, e molti altri che offrono vini di ottima qualità. Inoltre, ci sono anche diversi produttori di olio d’oliva e altri prodotti tipici locali come il formaggio, il miele, i salumi e la lavanda.
Verteneglio è conosciuta per gli ottimi ristoranti e agriturismo la qui offerta viene contraddistinta dalla tradizione ed il desiderio di custodire i menù a base di carne, pesce e altri ingredienti locali, quali il tartufo, carne di bue istriano ("boškarin"), funghi, asparagi, sogliola...
Da due anni è stata inoltre aperta la Grotta del Marmo, una delle attrazioni locali che non si possono omettere. Finora la grotta ha ospitato più di 20.000 visitatori di tutte le fasce d' età. Tra le bellezze naturali da citare anche il parco naturale di Scarline e la Grotta di Serbani, nonché i castellieri che si affacciano alla vallata del fiume Quieto.
Verteneglio fa parte della rete dei Borghi Europei del Gusto.
Ente per il turismo del Comune di Verteneglio
http://www.brtonigla-verteneglio.hr/
Offerta turistico-culturale
L’Ente comunale per il turismo di Verteneglio si occupa della promozione turistica del paese e dello sviluppo di nuovi segmenti e prodotti turistici ed attività in base alle risorse disponibili, seguendo sempre attentamente gli interessi e le esigenze degli ospiti e visitatori. Il pluripremiato campeggio „Park Umag“, situato accanto all’abitato di Carigador, a pochi chilometri dal centro comunale, è uno dei campeggi più grandi del Mediterraneo, e gli interessanti contenuti sia d'animazione che per bambini lo rendono ideale per la vacanza di tutta la famiglia. Sul territorio è presente anche un piccolo boutique hotel a gestione familiare, il quale ha riscosso un ottimo successo durante gli anni scorsi. L’ offerta turistica ricettiva è inoltre arricchita da diversi agriturismo e case vacanza ai quali fa da cornice l’ ambiente autoctono istriano.
È stata recentemente ultimata la prima fase di ricostruzione dell’edificio del vecchio mulino situato nel centro dell’abitato che diverrà la sede del Museo del vino, unico per il suo genere in tutta l’Istria. Numerosi i contenuti del museo, dall' enoteca ad un piccolo amfiteatro previsto per le attività culturali, musicali ...
Tra le numerosi manifestazioni di carattere turistico-tradizionale Verteneglio è particolarmente fiera della Festa della malvasia istriana, giunta ormai alla 27-esima edizione. Ad arricchire il programma all' insegna dell' ottimo vino di rinomati produttori del territorio istriano, nazionale ed internazionale, c' è anche il Pallio delle botti, al quale ogni anno partecipano le squadre di diverse città e comuni membri dell' associazione Città del vino.
A Verteneglio la tradizione artistica è presente da più tempo: nel 1971 si stabilì a Verteneglio lo scultore accademico Aleksandar Rukavina, dal 1996 a Verteneglio ha sede l’Agenzia della democrazia locale per l’Istria, da menzionare anche il gruppo vocale Volta che rappresenta il Comune in numerosi incontri nazionali e internazionali. Ad arricchire la tradizione musicale del paese provvede anche il Centro Studi di Musica Classica “Mauro Masoni” presso la locale Comunità degli Italiani. A riunire i cittadini di Verteneglio contribuisce anche la neonata associazione “Amici della natura Zenone” particolarmente orientata alla difesa della natura.
Sapori enogastronomici ed attrazioni naturali
A contradistinguere il territorio comunale di Verteneglio è la forte concentrazione di produzione di vino. A Verteneglio ci sono infatti sei vitivinicoltori che imbottigliano ed etichettano il proprio vino e che possiedono una cantina vinicola, e molti altri che offrono vini di ottima qualità. Inoltre, ci sono anche diversi produttori di olio d’oliva e altri prodotti tipici locali come il formaggio, il miele, i salumi e la lavanda.
Verteneglio è conosciuta per gli ottimi ristoranti e agriturismo la qui offerta viene contraddistinta dalla tradizione ed il desiderio di custodire i menù a base di carne, pesce e altri ingredienti locali, quali il tartufo, carne di bue istriano ("boškarin"), funghi, asparagi, sogliola...
Da due anni è stata inoltre aperta la Grotta del Marmo, una delle attrazioni locali che non si possono omettere. Finora la grotta ha ospitato più di 20.000 visitatori di tutte le fasce d' età. Tra le bellezze naturali da citare anche il parco naturale di Scarline e la Grotta di Serbani, nonché i castellieri che si affacciano alla vallata del fiume Quieto.
Verteneglio fa parte della rete dei Borghi Europei del Gusto.
Ente per il turismo del Comune di Verteneglio
http://www.brtonigla-verteneglio.hr/
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martedì 26 ottobre 2010
Breve storia di Capodistria
La sua nascita si perde nella notte dei tempi, come pure l'origine del suo nome primario: Aegida, un nome che ricorda l'egida di Atena, la dea greca della sapienza. La leggenda racconta di aspre contese con Poseidone e delle sue persecuzioni contro la dea, che avrebbe cercato rifugio proprio in questa zona. Nella lotta fra le due divinità, l'egida, uno scudo ricoperto di pelle di capra, cadde in mare che Zeus, intenerito dalle suppliche della dea, avrebbe trasformato in un scoglio. In verità, anche visto da lontano o dall'alto, l'isola sembra proprio uno scudo adagiato sul mare.
L'antico nome romano, Capris, deriverebbe invece dal fatto che l'isola era un luogo adibito all'allevamewnto delle capre. Inizialmente non esisteva come centro urbano; probabilmente furono proprio i Romani i primi a colonizzare in parte l'isolotto roccioso, modestamente elevato sulla superficie del mare, e sul quale si sviluppo più tardi Capodistria.
Già molti secoli prima, però, esisteva alla foce del fiume Risano, ai piedi della vicina altura di Sermino, un approdo ed un emporio. Qui avvenivano gli scambi fra le merci e gli schiavi che arrivavano dal nord, via terra, e dal sud, via mare. E' probabile che Aegida fosse il nome proprio di questo emporio, che lo storico romano Plinio il Giovane situò tra la foce del Risano ed il municipio romano di Parenzo. Allorché nel 16 a.C. la penisola istriana entrò a far parte della »X Regio Venetia e Histria«. la località venne completamente romanizzata. Lo confermano i numerosi ritrovamenti di ville rustiche romane e reperti archeologici rinvenuti nell'intera zona del Sermino.
L'isolotto di Capris crebbe d'importanza appena nel V secolo, alla fine dell'epoca romana. Minacciata dalle migrazioni di popolazioni barbariche (Eruli, Visigoti, Ostrogoti e Unni), la popolazione rurale fu costretta a cercare riparo sull'isola, che divenne uno dei punti di riferimento del sistema difensivo del Carso, chiamato Claustra Alpium Juliarum.
Pare che Capodistria abbia avuto una sua chiesa probabilmente già a metà del IV secolo, dopo l'editto di Milano promulgato da Costantino e ricordato da Gregorio Magno. Sembra però che abbia avuto vita breve. Appena nel VI secolo fu formata la diocesi con l'elevazione della chiesa di Capodistria a rango episcopale e con propria sede.
L'antico impero romano d'Oriente, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro gli Ostrogoti, nel 539 recuperò l'Istria ed anche i Bizantini si insediarono sull'isolotto. Dopo le successive invasioni degli Avari e degli Slavi, e specialmente dopo l'invasione longobarda del 568, a Capris cercò rifugio pure una parte delle popolazioni dell'agro circostante. L'imperatore bizantino Giustino II permise ai fuggiaschi di insediarvisi e la località fu chiamata in suo onore Justinopolis. Il nome nuovo e quello vecchio continuarono per secoli ad intrecciarsi, tanto che in un documento del 976 troviamo »Justinopolis quae vocatur Capris«.
Le fortificazioni bizantine del VI secolo comprendevano una cinta muraria con nove »porte sante«, in quanto ad ogni porta corrispondeva una cappella dedicata ad un santo.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla sua collocazione relativamente sicura, la cittadina rimase più o meno bizantina fino al 788, allorché i Franchi occuparono l'Istria.
Con l'avvento del feudalesimo, Capodistria, come le altre cittadine istriane, dovette subire gli sconvolgimenti dell'antico sistema romano, ancora conservato dai Bizantini.
Già durante il IX secolo Capodistria aveva subito danni alla sua flotta da parte dei pirati saraceni e, per una migliore difesa da questi attacchi e per lo sviluppo dei traffici mercantili, le componenti politiche ed economiche della città iniziarono a rivolgere la loro attenzione su Venezia, che staccatasi da Bisanzio, prepotentemente e rapidamente assurgeva a nuova potenza marinara.
Nel 932 un primo patto commerciale e d'amicizia fu siglato dal comune della città con il doge Candiano II nel quale Capodistria si impegnò per un contributo annuo di cento anfore di vino verso la Repubblica. Fu seguito da un secondo patto nel 1000, che rappresentò, seppure formalmente, l'inizio di un impegno di fedeltà alla Repubblica veneta.
Verso l'anno 1000, la diocesi di Capodistria che all'incirca 250 prima era stata data in commenda al patriarca di Grado, venne unificata con la diocesi di Trieste.
Nel 10036 il comune di Capodistria, che continuò ad esistere pur nello sconvolgimento provocato dall'ordinamento feudale, e pur sottomesso giuridicamente ai marchesi istriani rappresentanti il potere dell'imperatore Corrado II, ottenne da questi certi privilegi, tra cui il diritto di autogovernarsi, e alcuni possedimenti; cercò di conseguire lo stato di libero comune e vi riuscì alternando abili giochi diplomatici fra i patriarchi d'Aquileia ed i veneziani.
Un terzo patto tra le due città marittime fu stretto nel 1145 che rappresentò un successivo graduale avvicinamento ed assoggettamento alle pretese veneziane. Un console veneto visse nella città in qualità di rappresentante della Repubblica e Capodistria fu costretta a fornire a Venezia una galera per ogni sua impresa nell'Adriatico ed a proteggere gli interessi veneziani in Istria. Un nuovo trattato con i Veneziani, nel 1182, favorì Capodistria che ebbe il monopolio marittimo per il commercio del sale della provincia, che era allora un bene immenso.
Nel 1186, accanto al libero comune, che venne rappresentato da un podestà e da quattro consoli, fu ripristinata da papa Alessandro la diocesi, a seguito del concilio Lateranense. La diocesi venne sottoposta al patriarca d'Aquileia.
Il '200 fu un secolo importante e determinante per Capodistria. Nel 1210 fu scelta quale sede principale dei possedimenti istriani dei patriarchi, eletti marchesi d'Istria, che imposero alla città il nome di Capo d'Istria.
Capodistria tentò varie volte di liberarsi dal giogo dei Veneziani, ma non ci riuscì nemmeno con l'aiuto dei conti di Gorizia. Dovette però lottare anche contro colro che volevano limitarne l'autonomia. Nel 1230 il comune di Capodistria formò una lega con altri comuni istriani contro i patriarchi aquileiesi i quali, appoggiati dall'imperatore, volevano distruggere l'autogoverno della città.
Le fazioni che parteggiavano rispettivamente per i patriarchi e per i Veneziani si combatterono per lunghi anni in sanguinose lotte di parte che ricordano quelle tra i guelfi e i ghibellini toscani. Numerosi e vani furono i tentativi di liberarsi dai gravosi impedimenti e legami verso Venezia: le mura e le torri fortificate della città sconfitta furono abbattute dai veneziani che imposero un podestà veneto e pretesero un atto di piena sottomissione e riconoscimento del dominio veneto. L'ultimo tentativo di rielevarsi a libero comune si ebbe nel 1348, ma finì in un massacro di tutti i ribelli e e dei mercenari assoldati e Capodistria dovette nuovamente fare un umiliante atto di sottomissione.
Capodistria rimase sotto il dominio veneto fino al 1797, data che coincise con la fine della Repubblica. Per più di quattro secoli fece parte della vita di Venezia ricevendone l'aspetto più caratteristico e nobile: cinque suoi capitani-podestà furono eletti dogi.
Crebbe d'importanza ed il suo potere si allargò su ben quarantadue località istriane. Nel 1349 Venezia elesse un particolare rappresentante della popolazione slava dell'entroterra con il titolo di »capitaneus sclavorum« cui fu affidata la soluzione dei contrasti e delle questioni più importanti.
Nel corso dei secolo, la città divenne il centro principale dell'intera provincia istriana sotto Venezia. Nel XVI secolo si ebbe la massima espansione demografica della città che raggiunse circa 10.000 abitanti; però, durante la pestilenza del 1553, a Capodistria, si contarono più di 6.000 morti.
Dal 1348 al 1797 Capodistria fu interessata soltanto da vicende locali con continue ingerenze di Venezia, la sua posizione di capoluogo di provincia le dette una forza solo apparente in quanto fu, in realtà, il centro più controllato. Inoltre dovette subire supinamente tutte le conseguenze del secolare confronto della Serenissima con l'impero austriaco.
La terribile pestilenza del 1630 ridusse la sua popolazione da 5.000 a 1.800 persone. Nel 1719, anno in cui Trieste fu dichiarata »porto franco«, segnò il crollo definitivo di Capodistria.
Durante la breve dominazione napoleaonica dal 1806 al 1813, Capodistria fu sede del distretto comprendente i territori di Pinguenzte, Pirano e Parenzo e fu governata da un prefetto. Nel 1809 fu occupata dagli austriaci. Ritornata definitivamente sotto il dominio austriaco, nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, Capodistria divenne il naturale retroterra dell'emporio triestino in piena ascesa. Rimase un porto di cabotaggio con poca importanza con una popolazione dedita alla pesca e alla piccola attività marittima e cantieristica locale.
Nel 1819 il vescovado di Capodistria passò sotto la giurisdizione metropolitana del patriarca di venezia, Nel 1830 lo stesso fu sottoposto al nuovo arcivescovado di Gorizia mentre, due anni dopo, fu unito a quello di Trieste. Nel 1861 Capodistria divenne sede del Capitanato distrettuale comprendente i territori di Isola e Pirano.
La seconda metà dell'Ottocento e la prima decade del secolo successivo sono caratterizzati dall'attiovità irredentistica, anche in Istria e a Capodistria. Insorgono gli attriti con gli sloveni del circondario, nasce una pericolosa rivalità tra le due componenti nazionali. Nel 1882 nacque la società di navigazione »Capodistriana« e la città assunse un ruolo notevole nel commercio marittimo e nel traffico passeggeri. Nel 1902 venne ultimata la ferrovia a scartamento ridotto, chiamata »Parenzana«, che univa Trieste a Parenzo via Capodistria. Nel 1910 si inaugurò la prima Esposizione istriana.
Dopo la prima guerra mondiale la città entra a far parte del Regno d'Italia e rimane sede di comune.
Le vicende del secondo dopo guerra sono note: l'esodo della stragrande maggioranza della popolazione in Italia e nel mondo, l'afflusso di popolazioni dall'interno della Slovenia, dell'Istria e dalla pensiola balcanica.
Nel 1975 il Trattato di Osimo chiude il contenzioso di confine tra l'Italia e l'allora Jugoslavia. Capodistria è definitivamente parte della Slovenia, che nel 1991 diventa uno stato indipendente. La popolazione nel frattempo è cresciuta di numero e con essa l'economia locale: il porto »Luka Koper«, l'azienda petrolifera »Istrabenz«, l'impresa di trasporti »Intereuropa«, l'istiruto finanziario »Banka Koper«, la società assicurativa »Adriatic« sono i soggetti economici di maggiore importanza per lo sviluppo economico odierno della città.
http://www.cancapodistria.org/it/breve-storia-di-capodistria.html
L'antico nome romano, Capris, deriverebbe invece dal fatto che l'isola era un luogo adibito all'allevamewnto delle capre. Inizialmente non esisteva come centro urbano; probabilmente furono proprio i Romani i primi a colonizzare in parte l'isolotto roccioso, modestamente elevato sulla superficie del mare, e sul quale si sviluppo più tardi Capodistria.
Già molti secoli prima, però, esisteva alla foce del fiume Risano, ai piedi della vicina altura di Sermino, un approdo ed un emporio. Qui avvenivano gli scambi fra le merci e gli schiavi che arrivavano dal nord, via terra, e dal sud, via mare. E' probabile che Aegida fosse il nome proprio di questo emporio, che lo storico romano Plinio il Giovane situò tra la foce del Risano ed il municipio romano di Parenzo. Allorché nel 16 a.C. la penisola istriana entrò a far parte della »X Regio Venetia e Histria«. la località venne completamente romanizzata. Lo confermano i numerosi ritrovamenti di ville rustiche romane e reperti archeologici rinvenuti nell'intera zona del Sermino.
L'isolotto di Capris crebbe d'importanza appena nel V secolo, alla fine dell'epoca romana. Minacciata dalle migrazioni di popolazioni barbariche (Eruli, Visigoti, Ostrogoti e Unni), la popolazione rurale fu costretta a cercare riparo sull'isola, che divenne uno dei punti di riferimento del sistema difensivo del Carso, chiamato Claustra Alpium Juliarum.
Pare che Capodistria abbia avuto una sua chiesa probabilmente già a metà del IV secolo, dopo l'editto di Milano promulgato da Costantino e ricordato da Gregorio Magno. Sembra però che abbia avuto vita breve. Appena nel VI secolo fu formata la diocesi con l'elevazione della chiesa di Capodistria a rango episcopale e con propria sede.
L'antico impero romano d'Oriente, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro gli Ostrogoti, nel 539 recuperò l'Istria ed anche i Bizantini si insediarono sull'isolotto. Dopo le successive invasioni degli Avari e degli Slavi, e specialmente dopo l'invasione longobarda del 568, a Capris cercò rifugio pure una parte delle popolazioni dell'agro circostante. L'imperatore bizantino Giustino II permise ai fuggiaschi di insediarvisi e la località fu chiamata in suo onore Justinopolis. Il nome nuovo e quello vecchio continuarono per secoli ad intrecciarsi, tanto che in un documento del 976 troviamo »Justinopolis quae vocatur Capris«.
Le fortificazioni bizantine del VI secolo comprendevano una cinta muraria con nove »porte sante«, in quanto ad ogni porta corrispondeva una cappella dedicata ad un santo.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla sua collocazione relativamente sicura, la cittadina rimase più o meno bizantina fino al 788, allorché i Franchi occuparono l'Istria.
Con l'avvento del feudalesimo, Capodistria, come le altre cittadine istriane, dovette subire gli sconvolgimenti dell'antico sistema romano, ancora conservato dai Bizantini.
Già durante il IX secolo Capodistria aveva subito danni alla sua flotta da parte dei pirati saraceni e, per una migliore difesa da questi attacchi e per lo sviluppo dei traffici mercantili, le componenti politiche ed economiche della città iniziarono a rivolgere la loro attenzione su Venezia, che staccatasi da Bisanzio, prepotentemente e rapidamente assurgeva a nuova potenza marinara.
Nel 932 un primo patto commerciale e d'amicizia fu siglato dal comune della città con il doge Candiano II nel quale Capodistria si impegnò per un contributo annuo di cento anfore di vino verso la Repubblica. Fu seguito da un secondo patto nel 1000, che rappresentò, seppure formalmente, l'inizio di un impegno di fedeltà alla Repubblica veneta.
Verso l'anno 1000, la diocesi di Capodistria che all'incirca 250 prima era stata data in commenda al patriarca di Grado, venne unificata con la diocesi di Trieste.
Nel 10036 il comune di Capodistria, che continuò ad esistere pur nello sconvolgimento provocato dall'ordinamento feudale, e pur sottomesso giuridicamente ai marchesi istriani rappresentanti il potere dell'imperatore Corrado II, ottenne da questi certi privilegi, tra cui il diritto di autogovernarsi, e alcuni possedimenti; cercò di conseguire lo stato di libero comune e vi riuscì alternando abili giochi diplomatici fra i patriarchi d'Aquileia ed i veneziani.
Un terzo patto tra le due città marittime fu stretto nel 1145 che rappresentò un successivo graduale avvicinamento ed assoggettamento alle pretese veneziane. Un console veneto visse nella città in qualità di rappresentante della Repubblica e Capodistria fu costretta a fornire a Venezia una galera per ogni sua impresa nell'Adriatico ed a proteggere gli interessi veneziani in Istria. Un nuovo trattato con i Veneziani, nel 1182, favorì Capodistria che ebbe il monopolio marittimo per il commercio del sale della provincia, che era allora un bene immenso.
Nel 1186, accanto al libero comune, che venne rappresentato da un podestà e da quattro consoli, fu ripristinata da papa Alessandro la diocesi, a seguito del concilio Lateranense. La diocesi venne sottoposta al patriarca d'Aquileia.
Il '200 fu un secolo importante e determinante per Capodistria. Nel 1210 fu scelta quale sede principale dei possedimenti istriani dei patriarchi, eletti marchesi d'Istria, che imposero alla città il nome di Capo d'Istria.
Capodistria tentò varie volte di liberarsi dal giogo dei Veneziani, ma non ci riuscì nemmeno con l'aiuto dei conti di Gorizia. Dovette però lottare anche contro colro che volevano limitarne l'autonomia. Nel 1230 il comune di Capodistria formò una lega con altri comuni istriani contro i patriarchi aquileiesi i quali, appoggiati dall'imperatore, volevano distruggere l'autogoverno della città.
Le fazioni che parteggiavano rispettivamente per i patriarchi e per i Veneziani si combatterono per lunghi anni in sanguinose lotte di parte che ricordano quelle tra i guelfi e i ghibellini toscani. Numerosi e vani furono i tentativi di liberarsi dai gravosi impedimenti e legami verso Venezia: le mura e le torri fortificate della città sconfitta furono abbattute dai veneziani che imposero un podestà veneto e pretesero un atto di piena sottomissione e riconoscimento del dominio veneto. L'ultimo tentativo di rielevarsi a libero comune si ebbe nel 1348, ma finì in un massacro di tutti i ribelli e e dei mercenari assoldati e Capodistria dovette nuovamente fare un umiliante atto di sottomissione.
Capodistria rimase sotto il dominio veneto fino al 1797, data che coincise con la fine della Repubblica. Per più di quattro secoli fece parte della vita di Venezia ricevendone l'aspetto più caratteristico e nobile: cinque suoi capitani-podestà furono eletti dogi.
Crebbe d'importanza ed il suo potere si allargò su ben quarantadue località istriane. Nel 1349 Venezia elesse un particolare rappresentante della popolazione slava dell'entroterra con il titolo di »capitaneus sclavorum« cui fu affidata la soluzione dei contrasti e delle questioni più importanti.
Nel corso dei secolo, la città divenne il centro principale dell'intera provincia istriana sotto Venezia. Nel XVI secolo si ebbe la massima espansione demografica della città che raggiunse circa 10.000 abitanti; però, durante la pestilenza del 1553, a Capodistria, si contarono più di 6.000 morti.
Dal 1348 al 1797 Capodistria fu interessata soltanto da vicende locali con continue ingerenze di Venezia, la sua posizione di capoluogo di provincia le dette una forza solo apparente in quanto fu, in realtà, il centro più controllato. Inoltre dovette subire supinamente tutte le conseguenze del secolare confronto della Serenissima con l'impero austriaco.
La terribile pestilenza del 1630 ridusse la sua popolazione da 5.000 a 1.800 persone. Nel 1719, anno in cui Trieste fu dichiarata »porto franco«, segnò il crollo definitivo di Capodistria.
Durante la breve dominazione napoleaonica dal 1806 al 1813, Capodistria fu sede del distretto comprendente i territori di Pinguenzte, Pirano e Parenzo e fu governata da un prefetto. Nel 1809 fu occupata dagli austriaci. Ritornata definitivamente sotto il dominio austriaco, nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, Capodistria divenne il naturale retroterra dell'emporio triestino in piena ascesa. Rimase un porto di cabotaggio con poca importanza con una popolazione dedita alla pesca e alla piccola attività marittima e cantieristica locale.
Nel 1819 il vescovado di Capodistria passò sotto la giurisdizione metropolitana del patriarca di venezia, Nel 1830 lo stesso fu sottoposto al nuovo arcivescovado di Gorizia mentre, due anni dopo, fu unito a quello di Trieste. Nel 1861 Capodistria divenne sede del Capitanato distrettuale comprendente i territori di Isola e Pirano.
La seconda metà dell'Ottocento e la prima decade del secolo successivo sono caratterizzati dall'attiovità irredentistica, anche in Istria e a Capodistria. Insorgono gli attriti con gli sloveni del circondario, nasce una pericolosa rivalità tra le due componenti nazionali. Nel 1882 nacque la società di navigazione »Capodistriana« e la città assunse un ruolo notevole nel commercio marittimo e nel traffico passeggeri. Nel 1902 venne ultimata la ferrovia a scartamento ridotto, chiamata »Parenzana«, che univa Trieste a Parenzo via Capodistria. Nel 1910 si inaugurò la prima Esposizione istriana.
Dopo la prima guerra mondiale la città entra a far parte del Regno d'Italia e rimane sede di comune.
Le vicende del secondo dopo guerra sono note: l'esodo della stragrande maggioranza della popolazione in Italia e nel mondo, l'afflusso di popolazioni dall'interno della Slovenia, dell'Istria e dalla pensiola balcanica.
Nel 1975 il Trattato di Osimo chiude il contenzioso di confine tra l'Italia e l'allora Jugoslavia. Capodistria è definitivamente parte della Slovenia, che nel 1991 diventa uno stato indipendente. La popolazione nel frattempo è cresciuta di numero e con essa l'economia locale: il porto »Luka Koper«, l'azienda petrolifera »Istrabenz«, l'impresa di trasporti »Intereuropa«, l'istiruto finanziario »Banka Koper«, la società assicurativa »Adriatic« sono i soggetti economici di maggiore importanza per lo sviluppo economico odierno della città.
http://www.cancapodistria.org/it/breve-storia-di-capodistria.html
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La storia di Pirano
L'antica città marinara di Pirano si estende all'estremo margine dell'omonima penisola, che si restringe gradualmente tra il golfo di Strugnano e quello di Pirano. La penisola termina con punta Madonna, estrema propaggine nord occidentale dell'Istria. L'etimologia del nome Pirano e' controversa: alcuni studiosi propendono per la derivazione dal celtico bior-dun, che significa località sul colle, mentre altri la fanno risalire al greco pyr - fuoco, in quanto nell'antichità' venivano accesi sul promontorio dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti che si dirigevano all'attigua colonia di Aegida, vicino all'odierna Capodistria.
La cittadina e' molto pittoresca: le mura con le torri le fanno da corona e, dalle pendici, i tetti rossi degradano, esposti a mezzogiorno, fino a punta Madonna, La città vecchia e' costituita da un complesso di costruzioni venete, nelle strette calli lastricate, fra scalinate e portici, nei campielli e nelle piazzette, le case barocche e gotiche sono numerose, con finestre ad archi acuti, e si inseriscono fra le basse case che furono dei pescatori e dei salinai. Dall'alto di questa propaggine arenacea, dal fianco settentrionale spaccato, rigido e spoglio per l'impeto della bora, irrobustito alla base da una muratura poderosa e da arcate sostenute da piloni appoggiati alla pendice, spicca e signoreggia il Duomo di Pirano, il cui campanile, come un faro, si vede in tutto l'arco del golfo di Trieste.
Oggi la città e' il centro amministrativo del comune e, assieme alla vicina Portorose, importante località di villeggiatura marittima, con numerose istituzioni culturali, case di riposo, alberghi e ristoranti, nonché sede di importanti manifestazioni culturali.
La prima citazione della città fu a cura dell'Anonimo Ravennate, nel sec. VII, che la definì Piranon, nell'elencare nella sua opera Cosmographia i nomi delle località romane della costa occidentale dell'Istria.
Nonostante l'incerta origine del nome, e' fuor di dubbio che già nell'epoca preromana esistevano nell'entroterra insediamenti celtici ed ancor prima del popolo illirico degli Istri, che si occupavano di caccia, di agricoltura, di pesca, ed erano pure dediti alla pirateria, mettendo in pericolo le rotte commerciali dell'Impero Romano nell'Adriatico settentrionale.
Con la conquista romana dell'Istria, avvenuta nel 178/177 a.C. ebbe inizio la colonizzazione della penisola. Così sorsero nelle vicinanze di Pirano le prime ville rustiche, ma un massiccio insediamento della punta risale al periodo successivo che coincide con il declino dell'Impero romano, verso la fine del sec. V, quando per sfuggire alle scorrerie delle popolazioni barbare provenienti da oriente la popolazione soleva rifugiarsi sulle isole e penisole della costa, edificando fortificazioni e castelli in cui trovare riparo.
Pirano divenne nel sec. VII sotto il dominio di Bisanzio un "castrum" importante e ben fortificato e da qui ebbe inizio il suo sviluppo urbano. Già alla fine del sec. VI si ebbero le prime invasioni degli Slavi in Istria, ai quali seguì una graduale colonizzazione slava, che divenne ben accetta solamente all'atto della conquista carolingia, nel 788. I Franchi inclusero amministrativamente l'Istria nella marca del Friuli, sostenendo l'insediamento delle popolazioni slave nell'entro terra e le loro lotte contro la popolazione romana delle città costiere. Dopo la divisione dell'Impero franco l'Istria passò nell'843 al ragno d'Italia, mentre nel 952 divenne possesso bavarese, nel 976 passò alla Carinzia, ed infine al Patriarcato di Aquileia.
Pirano lottò per avere una propria legislazione e per tentare di liberarsi dall'autorità dei signori feudali, onde poter gestire in piena autonomia i propri traffici e commerci. Fu libero comune nel 1186 e trovò un potente alleato in Venezia, alla quale si assoggettò dal 1283, rimanendole fedele, come tutte le città della costa occidentale istriana, sino al 1797.
La fioritura commerciale ed i traffici con l'entroterra, che portò alle città istriane il legame con Venezia, fece crescere ulteriormente il ruolo delle istituzioni, della cultura e del benessere. Dal sec. XV al sec. XVII però Pirano fu traviata da lotte intestine a carattere sociale tra la nobiltà ed i popolani, che si ribellavano ed esprimevano il loro malcontento per la gestione del patrimonio cittadino, della proprietà delle saline e dei fondi dell'entroterra, esclusivamente da parte della classe nobiliare, nonché rivendicando inoltre maggiori diritti politici.
In Istria si estese anche il protestantesimo, che trovò a Pirano i suoi primi accoliti negli anni '30 del sec. XVI.
Nel sec. XVII e nel sec. XVIII la società borghese visse a Pirano l'atmosfera dell'umanesimo e del rinascimento, cui illustre esponente nel sec. XVII fu il medico Prospero Petronio. Verso la fine dello stesso secolo (nel 1692) nacque a Pirano il sommo violinista e compositore Giuseppe Tartini, autore di oltre 300 opere musicali, alcune delle quali sono considerate tra le migliori composizioni del sec. XVIII.
La prima dominazione austriaca dal 1797 al 1805 ed il breve periodo di predominio delle autorità francesi nell'ambito del Regno d'Italia (1805 - 1809) e delle Provincie illiriche di Napoleone (1809 - 1813) portarono alla città, oltre ai cambiamenti amministrativi, sociali e politici, anche alcuni interventi urbanistici di entità minore nel tessuto urbano e nell'entroterra.
L’Austria imperiale portò nel sec. XIX a Pirano un periodo di benessere, al quale contribuirono specie le saline, in quanto l'Austria, con la rivitalizzazione della produzione del sale, aumentò sostanzialmente le capacità delle saline di Sicciole, che raggiunsero una produzione annua di circa 40.000 tonnellate.
Un ulteriore contributo allo sviluppo fu fornito dall'apertura della linea ferroviaria a scartamento ridotto Parenzo - Trieste, detta Parenzana, inaugurata nel 1902. Nello stesso periodo iniziò a svilupparsi una delle attività che oggi e' tra le più importanti della città: il turismo. A Portorose si sviluppò soprattutto il turismo termale e di cura, che portò alla località dal clima mite e piacevole notorietà ed il titolo della migliore stazione di villeggiatura dell'Adriatico orientale.
Dopo la prima guerra mondiale questi territori passarono all'Italia in base al Trattato di Rapallo e, con la venuta al potere del fascismo, sorse in Istria nella popolazione sia dell'entroterra sia delle città costiere il movimento antifascista, che raggiunse il suo apice durante la guerra di liberazione popolare nel periodo dal 1941 al 1945.
Dopo i tragici eventi del primo dopoguerra e l'esodo della maggior parte della popolazione Pirano fu annessa definitivamente alla Jugoslavia e, dalla dissoluzione di quest'ultima nel 1991, fa parte della Repubblica della Slovenia.
Piazza Tartini divenne la piazza centrale della città alla fine del sec. XIII, ma ha assunto l'attuale fisionomia alla fine del sec. XIX, quando fu interrato il porticciolo per creare una vasta area urbana, ai margini della quale si ergono tutte le istituzioni municipali più importanti (il comune, il tribunale ecc.) ed i palazzi dei notabili, tra i quali si e' conservata nella sua forma originale unicamente la Casa Veneziana. La piazza e' stata dedicata a Giuseppe Tartini, sommo violinista e compositore (1692 - 1770), a cui Pirano diede i natali.
La città, che già da sola e' una collezione di sculture e portali, di architettura sacra e profana, ha una peculiarità: la collezione di sculture moderne all'aperto, sita sulla penisola si Sezza, di fronte a Portorose. Il simposio internazionale di scultura "Forma viva", istituito nel 1961 su iniziativa degli artisti Jakob Savinšek e Janez Lenassi, ospita oggi oltre 200 sculture monumentali, create nell'ambito del tradizionale incontro che le Gallerie costiere di Pirano continuano ad organizzare con successo.
http://www.portoroz.si/it/storia-di-pirano
La cittadina e' molto pittoresca: le mura con le torri le fanno da corona e, dalle pendici, i tetti rossi degradano, esposti a mezzogiorno, fino a punta Madonna, La città vecchia e' costituita da un complesso di costruzioni venete, nelle strette calli lastricate, fra scalinate e portici, nei campielli e nelle piazzette, le case barocche e gotiche sono numerose, con finestre ad archi acuti, e si inseriscono fra le basse case che furono dei pescatori e dei salinai. Dall'alto di questa propaggine arenacea, dal fianco settentrionale spaccato, rigido e spoglio per l'impeto della bora, irrobustito alla base da una muratura poderosa e da arcate sostenute da piloni appoggiati alla pendice, spicca e signoreggia il Duomo di Pirano, il cui campanile, come un faro, si vede in tutto l'arco del golfo di Trieste.
Oggi la città e' il centro amministrativo del comune e, assieme alla vicina Portorose, importante località di villeggiatura marittima, con numerose istituzioni culturali, case di riposo, alberghi e ristoranti, nonché sede di importanti manifestazioni culturali.
La prima citazione della città fu a cura dell'Anonimo Ravennate, nel sec. VII, che la definì Piranon, nell'elencare nella sua opera Cosmographia i nomi delle località romane della costa occidentale dell'Istria.
Nonostante l'incerta origine del nome, e' fuor di dubbio che già nell'epoca preromana esistevano nell'entroterra insediamenti celtici ed ancor prima del popolo illirico degli Istri, che si occupavano di caccia, di agricoltura, di pesca, ed erano pure dediti alla pirateria, mettendo in pericolo le rotte commerciali dell'Impero Romano nell'Adriatico settentrionale.
Con la conquista romana dell'Istria, avvenuta nel 178/177 a.C. ebbe inizio la colonizzazione della penisola. Così sorsero nelle vicinanze di Pirano le prime ville rustiche, ma un massiccio insediamento della punta risale al periodo successivo che coincide con il declino dell'Impero romano, verso la fine del sec. V, quando per sfuggire alle scorrerie delle popolazioni barbare provenienti da oriente la popolazione soleva rifugiarsi sulle isole e penisole della costa, edificando fortificazioni e castelli in cui trovare riparo.
Pirano divenne nel sec. VII sotto il dominio di Bisanzio un "castrum" importante e ben fortificato e da qui ebbe inizio il suo sviluppo urbano. Già alla fine del sec. VI si ebbero le prime invasioni degli Slavi in Istria, ai quali seguì una graduale colonizzazione slava, che divenne ben accetta solamente all'atto della conquista carolingia, nel 788. I Franchi inclusero amministrativamente l'Istria nella marca del Friuli, sostenendo l'insediamento delle popolazioni slave nell'entro terra e le loro lotte contro la popolazione romana delle città costiere. Dopo la divisione dell'Impero franco l'Istria passò nell'843 al ragno d'Italia, mentre nel 952 divenne possesso bavarese, nel 976 passò alla Carinzia, ed infine al Patriarcato di Aquileia.
Pirano lottò per avere una propria legislazione e per tentare di liberarsi dall'autorità dei signori feudali, onde poter gestire in piena autonomia i propri traffici e commerci. Fu libero comune nel 1186 e trovò un potente alleato in Venezia, alla quale si assoggettò dal 1283, rimanendole fedele, come tutte le città della costa occidentale istriana, sino al 1797.
La fioritura commerciale ed i traffici con l'entroterra, che portò alle città istriane il legame con Venezia, fece crescere ulteriormente il ruolo delle istituzioni, della cultura e del benessere. Dal sec. XV al sec. XVII però Pirano fu traviata da lotte intestine a carattere sociale tra la nobiltà ed i popolani, che si ribellavano ed esprimevano il loro malcontento per la gestione del patrimonio cittadino, della proprietà delle saline e dei fondi dell'entroterra, esclusivamente da parte della classe nobiliare, nonché rivendicando inoltre maggiori diritti politici.
In Istria si estese anche il protestantesimo, che trovò a Pirano i suoi primi accoliti negli anni '30 del sec. XVI.
Nel sec. XVII e nel sec. XVIII la società borghese visse a Pirano l'atmosfera dell'umanesimo e del rinascimento, cui illustre esponente nel sec. XVII fu il medico Prospero Petronio. Verso la fine dello stesso secolo (nel 1692) nacque a Pirano il sommo violinista e compositore Giuseppe Tartini, autore di oltre 300 opere musicali, alcune delle quali sono considerate tra le migliori composizioni del sec. XVIII.
La prima dominazione austriaca dal 1797 al 1805 ed il breve periodo di predominio delle autorità francesi nell'ambito del Regno d'Italia (1805 - 1809) e delle Provincie illiriche di Napoleone (1809 - 1813) portarono alla città, oltre ai cambiamenti amministrativi, sociali e politici, anche alcuni interventi urbanistici di entità minore nel tessuto urbano e nell'entroterra.
L’Austria imperiale portò nel sec. XIX a Pirano un periodo di benessere, al quale contribuirono specie le saline, in quanto l'Austria, con la rivitalizzazione della produzione del sale, aumentò sostanzialmente le capacità delle saline di Sicciole, che raggiunsero una produzione annua di circa 40.000 tonnellate.
Un ulteriore contributo allo sviluppo fu fornito dall'apertura della linea ferroviaria a scartamento ridotto Parenzo - Trieste, detta Parenzana, inaugurata nel 1902. Nello stesso periodo iniziò a svilupparsi una delle attività che oggi e' tra le più importanti della città: il turismo. A Portorose si sviluppò soprattutto il turismo termale e di cura, che portò alla località dal clima mite e piacevole notorietà ed il titolo della migliore stazione di villeggiatura dell'Adriatico orientale.
Dopo la prima guerra mondiale questi territori passarono all'Italia in base al Trattato di Rapallo e, con la venuta al potere del fascismo, sorse in Istria nella popolazione sia dell'entroterra sia delle città costiere il movimento antifascista, che raggiunse il suo apice durante la guerra di liberazione popolare nel periodo dal 1941 al 1945.
Dopo i tragici eventi del primo dopoguerra e l'esodo della maggior parte della popolazione Pirano fu annessa definitivamente alla Jugoslavia e, dalla dissoluzione di quest'ultima nel 1991, fa parte della Repubblica della Slovenia.
Piazza Tartini divenne la piazza centrale della città alla fine del sec. XIII, ma ha assunto l'attuale fisionomia alla fine del sec. XIX, quando fu interrato il porticciolo per creare una vasta area urbana, ai margini della quale si ergono tutte le istituzioni municipali più importanti (il comune, il tribunale ecc.) ed i palazzi dei notabili, tra i quali si e' conservata nella sua forma originale unicamente la Casa Veneziana. La piazza e' stata dedicata a Giuseppe Tartini, sommo violinista e compositore (1692 - 1770), a cui Pirano diede i natali.
La città, che già da sola e' una collezione di sculture e portali, di architettura sacra e profana, ha una peculiarità: la collezione di sculture moderne all'aperto, sita sulla penisola si Sezza, di fronte a Portorose. Il simposio internazionale di scultura "Forma viva", istituito nel 1961 su iniziativa degli artisti Jakob Savinšek e Janez Lenassi, ospita oggi oltre 200 sculture monumentali, create nell'ambito del tradizionale incontro che le Gallerie costiere di Pirano continuano ad organizzare con successo.
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Novigrad-Cittanova: una storia sulle mura cittadine
Anche se Cittanova e' un posto con poco più di 4000 abitanti, oggi ha il titolo di Città, come d'altronde l'aveva in passato. A vantaggio di questa causa gioca anche la terminologia storica che spiega, se ci cingiamo con una spiegazione breve, che una città e' quel posto che e' circondato dalle mura e possiede un'autonomia locale. Cittanova possedeva sia l'uno che l'altro e di questo ci parla un manoscritto del 1754 che contiene la trascrizione dello statuto cittanovese del 1401. Come atto legale di base che regola la vita legislativa di una comunità, la completa procedura legale e la giurisdizione, lo statuto testimonia che Cittanova all'inizio del 15 sec. aveva il titolo di città - comune. Nello statuto sono menzionate anche le mura cittanovesi e la cura delle stesse da parte del potere cittadino. Ovvio che Cittanova e le sue mura sono più antiche della data menzionata. Esiste il parere che tra le città istriane "quasi non esista una città che abbia i propri debutti sul palcoscenico storico così avvolti nella nebbia e tante convergenze dei storici come e' il caso di Cittanova". La genesi di Cittanova come paese su di un’isola costiera (solo nell'età' moderna tramite inghiaiamento e' stata formata la penisola) fino ad oggi non e' ancora stata rivelata del tutto. La scienza moderna (Cuscito 1997, Ujčić 1997, Jurković-Matejčić 2003) ha abbandonato le tesi antiche che identificavano Cittanova con toponimi Emonia o Emona. Quello che tutti gli autori moderni vogliono sottolineare e' l'esistenza di Cittanova nel tardo periodo antico come del castrum o castellum tardo-antico, vale a dire paese civile con possibilità di difesa (Matijašić, 2002). L'autore menzionato conferma la propria tesi anche con il solo nome della città che viene menzionata nelle fonti come Neapolis, Civitas Nova e Castellum Novas. Malgrado la mancanza di maggiori ricerche archeologiche Marušić (1989) ha designato alla città tardo-antica sia il perimetro di estensione che il retino urbano con i quali accordano anche altri autori. Per quanto riguarda il nostro tema e' importante sottolineare che questo raggio con una piccola parte a nord e a sud dalla Porta Terraferma, coincide con il perimetro delle mura cittadine conservate fino ad oggi. Questa attraente circostanza archeologica e' stata intuita molto chiaramente già da Parentin (1974) che menzionava le remote radici della tradizione dell'inserimento della chiesa (Spirito Santo) nella torre vicino alla porta principale cittadina. Il periodo dell'alto Medioevo nella storia istriana proprio negli ultimi anni era contrassegnato da grandi attività interdisciplinari di ricerca alle quali si sono dedicati, oltre ai ricercatori croati, italiani e sloveni, anche altri, soprattutto professionisti francesi. La tesi conosciuta già da tempo su Cittanova come centro dell'alta amministrazione franca dove aveva residenza il duca (dux) Giovanni, e' confermata da nuovi reperti materiali e proprio di una reinterpretazione sensazionale dell'architettura e della scultura della chiesa parrocchiale di San Pelagio, che una volta era cattedrale, e della sua cripta (Matejčić, Jurković). Tutto sommato, il significato chiave che aveva Cittanova nel periodo dell'alta amministrazione carolingia, verrà sicuramente confermato con nuove analisi come anche con ampie conclusioni di quelli che si riferiscono all'architettura e la scultura sacrale analizzata fin ora. Con queste osservazioni bisogna aggiungere che Cittanova registra invasioni già nell'alto Medioevo (croati, saraceni) che sono sicuramente risultate in constanti rinnovamenti e rafforzamenti delle mura. Anche se ancora per secoli non apparterrà formalmente a Venezia e nella lotta per l'indipendenza, in alleanza con altre città costiere istriane, cercherà di opporsi con le armi a questa potenza dell'Adriatico in ribalta, Cittanova già verso la fine dell'Alto Medioevo gradualmente entra nella sfera d'interesse della Repubblica veneziana. Nel tardo Medioevo Cittanova e' nel potere di diversi feudatari tedeschi e poi nelle mani del patriarca d'Aquileia. Nell'anno 1270 la città e' stata formalmente sottomessa da Venezia il che ovviamente significava uno scontro con Genova. Le sue truppe hanno devastato in maniera rilevante Cittanova verso la fine del 14 secolo. Con il susseguirsi di avvenimenti storici l'attuale aspetto delle mura appartiene quasi completamente al periodo dell'amministrazione veneta. Nella piccola, e quasi sempre troppo povera Cittanova veneta (a differenza della Cittanova del periodo carolingio quando era una ricca sede amministrativa), ovvio che le mura non sono state progettate da Michele o Gian Girolamo Sanmicheli, Sforza Pallavicini o qualcun'altro dalla sfera dei grandi della ingegneria militare veneziana. E' un'opera questa di grandi maestri locali che dopo la formazione di bassi bastioni, a lungo e con perseveranza in un loro modo arcaico, innalzavano e riparavano le alte mura costruite con pietra istriana con la merlatura caratteristica. Oltre la povertà e l'inerzia si trattava qui anche di una particolare tradizione. Nei secoli a susseguirsi registriamo grandi lavori sulla costruzione e riparazione delle mura che in maniera chiara testimoniano gli stemmi delle podestà del periodo. Si trovavano, e in parte vi si trovano ancora, sulle mura cittadine. Nell'Evo moderno, soprattutto per la paura dei turchi, i podestà continuano con la riparazione e la costruzione del sistema di fortificazione cittanovese, che e' di per se documentato con rilevanti reperti materiali e fonti scritte. Anche se i centri della guerra degli uscocchi e della guerra di Candia erano lontani da Cittanova, incombeva in ogni modo la minaccia dei saccheggi dal mare. L'infelice Cittanova non e' stata risparmiata da nessuno dei pericoli menzionati. Cittanova ha patito un'enorme perdita durante l'improvvisa irruzione dei turchi nel 1687. Questo e' il periodo di culminazione del plurisecolare impoverimento e spopolamento di Cittanova. La città precedentemente colpita dalla malaria e' stata poi colpita dalla collera e la popolazione ha raggiunto le trenta famiglie. Nel 18 secolo comincia il ristabilimento e così nel paese si registra un'importante attività edilizia. Le vecchie strutture medievali e rinascimentali si ricostruiscono e collegano in entità più grandi del tipo barocco. L'ultima parte le mura l'hanno avuta durante l'embargo continentale e le guerre napoleoniche, quando i francesi mantenevano la roccaforte vicino al palazzo parrocchiale. Dopo di questo e fino all'era moderna e i primi interventi della sovrintendenza alle antichità, esse servivano ai cittanovesi come "cava di pietra", i.e. come fonte del materiale edile per la costruzione delle case. Sulle mura cittadine si potrebbero scrivere tante storie. Una di queste potrebbe parlare di loro come monumento architettonico cittanovese più completo. Ma prima di tutte le storie, le nostre mura testimoniano del tempo che e' dietro di noi, di un ricco patrimonio storico - culturale cittanovese che non appartiene soltanto allo spazio autoctono: con l'intreccio di rapporti e influssi reciproci essa diventa parte integrante non soltanto degli avvenimenti storici croati ma anche di quelli europei. Infine, le mura cittadine parlano anche dell'identità' di Cittanova che, cosciente del proprio passato, cerca di salvaguardare i propri valori e significati per la futura prole.
Jerica Ziherl
(pubblicato nel libro dell'organizzazione internazionale delle citta circondate dalle mura (WTFC))
http://www.novigrad.hr/IT/ngd_content/ongd_povijest2.htm
Jerica Ziherl
(pubblicato nel libro dell'organizzazione internazionale delle citta circondate dalle mura (WTFC))
http://www.novigrad.hr/IT/ngd_content/ongd_povijest2.htm
lunedì 25 ottobre 2010
Parenzo e la sua storia
I più antichi reperti della presenza umana nella zona di Parenzo risalgono a 4000 anni fa e si trovano a Picugi e Mordele, colline dove sono stati trovati i resti di edifici, tombe, ceramiche, strumenti e armi appartenuti ad una civiltà finora sconosciuta e agli Histri, antico popolo che abitò questi luoghi.
Parenzo ha 2000 anni. Al suo posto esisteva un paese ma lo sviluppo della città iniziò con l'arrivo dell'esercito romano, quando la cittadina fu trasformata in un castrum. Nel primo secolo Parenzo divenne una colonia romana e ottenne lo status di città acquisendo il nome di Colonia Iulia Parentium. Le mura della città furono costruite già nel IV secolo mentre nel V secolo fu costruita la famosa Basilica Eufrasiana. Dopo la caduta di Roma, gli Ostrogoti entrarono in città mentre ben presto il potere passò all'Impero Bizantino. I croati arrivarono qui nel sesto secolo e costruirono il primo insediamento permanente. Alla fine del VII secolo la città cadde sotto l'autorità dei Franchi, ebbe un breve periodo d'indipendenza nel XII secolo e poi passò sotto l'autorità dei patriarchi di Aquileia.
Nell’anno 1267 Parenzo divenne la prima città in Istria che riconobbe il potere della Repubblica di Venezia. I Veneziani furono i padroni di Parenzo per più di cinque secoli. Durante questo periodo, tra le altre cose, fu costruito il faro sull'isola di San Nicolò la quale si trova di fronte alla città. A quei tempi, con un’altezza di 15 metri, era il faro più alto sul mare Adriatico.
Alla fine del 18-esimo secolo la città fu occupata da Napoleone mentre nel 1797 cadde nelle mani dell’Impero Austriaco. Nel 1845 fu stampata la prima guida turistica della città con foto e descrizioni dei luoghi. Nel 1861 Parenzo divenne la capitale dell'Istria e la sede di tutte le istituzioni di quei tempi. Nel 1902 fu costruita la Parenzana che collegava Parenzo a Trieste e nel 1910 fu costruito il primo albergo. Dal 1920 fino al 1943 la città fu sotto il dominio italiano, quando divenne finalmente una parte della Croazia. Nel 1944 Parenzo fu gravemente danneggiata durante il bombardamento alleato quando la parte vecchia della città sparì letteralmente e molte delle sue parti furono gravemente danneggiate. Nel 1991 entra a far parte della Repubblica indipendente della Croazia.
http://www.histrica.com/it/istria/blu/parenzo/
Parenzo ha 2000 anni. Al suo posto esisteva un paese ma lo sviluppo della città iniziò con l'arrivo dell'esercito romano, quando la cittadina fu trasformata in un castrum. Nel primo secolo Parenzo divenne una colonia romana e ottenne lo status di città acquisendo il nome di Colonia Iulia Parentium. Le mura della città furono costruite già nel IV secolo mentre nel V secolo fu costruita la famosa Basilica Eufrasiana. Dopo la caduta di Roma, gli Ostrogoti entrarono in città mentre ben presto il potere passò all'Impero Bizantino. I croati arrivarono qui nel sesto secolo e costruirono il primo insediamento permanente. Alla fine del VII secolo la città cadde sotto l'autorità dei Franchi, ebbe un breve periodo d'indipendenza nel XII secolo e poi passò sotto l'autorità dei patriarchi di Aquileia.
Nell’anno 1267 Parenzo divenne la prima città in Istria che riconobbe il potere della Repubblica di Venezia. I Veneziani furono i padroni di Parenzo per più di cinque secoli. Durante questo periodo, tra le altre cose, fu costruito il faro sull'isola di San Nicolò la quale si trova di fronte alla città. A quei tempi, con un’altezza di 15 metri, era il faro più alto sul mare Adriatico.
Alla fine del 18-esimo secolo la città fu occupata da Napoleone mentre nel 1797 cadde nelle mani dell’Impero Austriaco. Nel 1845 fu stampata la prima guida turistica della città con foto e descrizioni dei luoghi. Nel 1861 Parenzo divenne la capitale dell'Istria e la sede di tutte le istituzioni di quei tempi. Nel 1902 fu costruita la Parenzana che collegava Parenzo a Trieste e nel 1910 fu costruito il primo albergo. Dal 1920 fino al 1943 la città fu sotto il dominio italiano, quando divenne finalmente una parte della Croazia. Nel 1944 Parenzo fu gravemente danneggiata durante il bombardamento alleato quando la parte vecchia della città sparì letteralmente e molte delle sue parti furono gravemente danneggiate. Nel 1991 entra a far parte della Repubblica indipendente della Croazia.
http://www.histrica.com/it/istria/blu/parenzo/
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Dazzan, uno dei migliori panifici d’Italia
E’una giornata piovosa, piove su tutto il Nordest. Andiamo verso San Vito al Tagliamento, e poi un conoscente ci segnala il panificio Dazzan di Bagnarola di Sesto al Reghena. Visto che ci sono, faccio un po’di spesa: due panini,una pizzetta e un panino con l’uvetta. Il panino all’uvetta l’ho mangiato quasi subito: era leggero, non il solito mattone che ci propinano di solito. A casa, per antipasto, un pezzo di pane col formaggio: questo pane esalta perfino il gusto del formaggio.
Se tanto mi dà tanto, anche il resto sarà sublime. Faccio due chiacchiere con Andrea, quarta generazione di fornai, e poi appare anche il padre. Loro puntano a fare un pane di qualità, veramente e non per finta. Naturalmente si parte dalla ricerca rigorosa delle materie prime, privilegiando i grani più antichi, in modo da avere farine non troppo richhe di glutine, ma ricche di vitamine e di sali minerali. L’acqua è quella buona della zona, ricca di risorgive, depurata senza l’aggiunta di sostanze. Solo poco sale viene aggiunto.
E arriviamo alla lavorazione, tradizionale: loro partono tre giorni prima con un preimpasto, per poi reimpastarlo il giorno dopo. Poi formano il pane, che se ne sta buono a lievitare un altro giorno. E poi viene cotto e venduto. Così facendo usano la decima parte di lievito normalmente usata. Grazie anche agli ingenti investimenti in tecnologia: il locale ha temperatura e umidità stabilizzate, tutto il processo produttivo viene monitorato attraverso dei computer.
E così fanno qualità nel vero senso della parola, fatto che è stato riconosciuto loro premiandoli come uno dei migliori panifici d’Italia
Per finire, hanno una rivendita, Pane e Bontà, anche a Portogruaro (www.paneebonta.it).
Panificio Dazzan Giovanni
Via Sacile 1/b
33079 Bagnarola di Sesto al Reghena (PN)
Tel/fax 0434 688284
e-mail: panificiodazzan@libero.it
www.paneebonta.it
Se tanto mi dà tanto, anche il resto sarà sublime. Faccio due chiacchiere con Andrea, quarta generazione di fornai, e poi appare anche il padre. Loro puntano a fare un pane di qualità, veramente e non per finta. Naturalmente si parte dalla ricerca rigorosa delle materie prime, privilegiando i grani più antichi, in modo da avere farine non troppo richhe di glutine, ma ricche di vitamine e di sali minerali. L’acqua è quella buona della zona, ricca di risorgive, depurata senza l’aggiunta di sostanze. Solo poco sale viene aggiunto.
E arriviamo alla lavorazione, tradizionale: loro partono tre giorni prima con un preimpasto, per poi reimpastarlo il giorno dopo. Poi formano il pane, che se ne sta buono a lievitare un altro giorno. E poi viene cotto e venduto. Così facendo usano la decima parte di lievito normalmente usata. Grazie anche agli ingenti investimenti in tecnologia: il locale ha temperatura e umidità stabilizzate, tutto il processo produttivo viene monitorato attraverso dei computer.
E così fanno qualità nel vero senso della parola, fatto che è stato riconosciuto loro premiandoli come uno dei migliori panifici d’Italia
Per finire, hanno una rivendita, Pane e Bontà, anche a Portogruaro (www.paneebonta.it).
Panificio Dazzan Giovanni
Via Sacile 1/b
33079 Bagnarola di Sesto al Reghena (PN)
Tel/fax 0434 688284
e-mail: panificiodazzan@libero.it
www.paneebonta.it
domenica 24 ottobre 2010
I vini di Rive del Bacio : l'eccellenza paga sempre
Un tempo San Pietro di Barbozza era un comune autonomo. E di questa autonomia porta ancora i segni nella toponomastica : Municipio,tanto per fare un esempio, si chiama ancor oggi un confortevole hotel che ha 'recuperato' l'edificio adibito alla vita comunitaria.
Proprio qui, nel cuore delle terre del prosecco, siamo venuti a trovare Celestino Reghini, incuriositi da un assaggio galeotto dei suoi vini alla Pasticceria Magnolia di Ponte della Priula.
“L'Azienda Reghini -ci dice Celestino- nasce nei primi anni sessanta. Papà Gino non resiste al richiamo delle sue radici e torna, dopo anni di lontananza, nella sua amata terra. Eredita un piccolo appezzamento dal padre, che era già produttore di vini e tra i fondatori della cantina sociale di Valdobbiadene. Spinto dalla passione e con grande tenacia, sacrifici e dedizione, amplia la proprietà terriera e si dedica totalmente al duro lavoro della vite.”
L'impegno passa quindi al figlio Celestino, il quale, arricchito della preziosa esperienza tramandatagli dal padre ed apprese le tecniche moderne della coltivazione della vite, porta avanti l'antica arte "di fare" il vino.
Ma veniamo ai vini.
“Siamo presenti da generazioni in questo territorio altamente vocato alla coltivazione della vite, si è scelto di puntare il tutto sulla qualità, a discapito della quantità, ma con la certezza di dare all'intenditore ed al consumatore un prodotto ineccepibile sotto tutti gli aspetti.”
Non è soltanto una dichiarazione di intenti. I vigneti dell'azienda Reghini si compongono di 4 ettari siti nel cuore del Prosecco, a San Pietro di Barbozza, e di un piccolo appezzamento di Cartizze nella zona del Follo presso la frazione di Santo Stefano.
Il segreto è semplice: un lavoro meticoloso in vigna, una vendemmia che privilegia la selezionata raccolta a mano delle uve alla pigiatura soffice, la lavorazione in cantina che continua con le fermentazioni a temperatura controllata, capaci di conferire ai vini profumi eleganti e fruttati, oltreché gusti gradevoli e delicati al palato, per giungere poi alla fase della spumantizzazione.
Insomma un percorso virtuoso che dal vigneto passa per la cantina fino a giungere al bicchiere.
Lo spumante non muore in bocca, non lascia sgradevoli tracce nel palato, anzi, regala un retrogusto assai piacevole.
Il prosecco col fondo nasce da una particolare e personalizzata selezione di uve "cru" Prosecco. Vino di antica tradizione e genuinità, viene imbottigliato in primavera e fermenta dopo un lungo tempo in bottiglia, dove i lieviti gli danno peculiari proprietà organolettiche.
Sottolineiamo il fatto che la fermentazione in bottiglia dura del tempo,non come certi prodotti definiti sur lie che vengono sparati sul mercato velocissimamente e che, alla degustazione, rivelano rotondità da passaggio in autoclave.
Il prosecco tranquillo, pluripremiato, è un vino dal bouquet delicato e floreale che ricorda la mela acerba e il glicine.
Avanti così .La strada dell'eccellenza è difficile e impervia, ma paga. Sempre e comunque.
Az. Agr. Reghini Celestino
Strada Barbozza, 24
S. Pietro di Barbozza - Valdobbiadene (TV) - Tel. e Fax. 0423/973456 Cell. 3397862834
http://www.rivedelbacio.com/
email: rivedelbacio@hotmail.com
Proprio qui, nel cuore delle terre del prosecco, siamo venuti a trovare Celestino Reghini, incuriositi da un assaggio galeotto dei suoi vini alla Pasticceria Magnolia di Ponte della Priula.
“L'Azienda Reghini -ci dice Celestino- nasce nei primi anni sessanta. Papà Gino non resiste al richiamo delle sue radici e torna, dopo anni di lontananza, nella sua amata terra. Eredita un piccolo appezzamento dal padre, che era già produttore di vini e tra i fondatori della cantina sociale di Valdobbiadene. Spinto dalla passione e con grande tenacia, sacrifici e dedizione, amplia la proprietà terriera e si dedica totalmente al duro lavoro della vite.”
L'impegno passa quindi al figlio Celestino, il quale, arricchito della preziosa esperienza tramandatagli dal padre ed apprese le tecniche moderne della coltivazione della vite, porta avanti l'antica arte "di fare" il vino.
Ma veniamo ai vini.
“Siamo presenti da generazioni in questo territorio altamente vocato alla coltivazione della vite, si è scelto di puntare il tutto sulla qualità, a discapito della quantità, ma con la certezza di dare all'intenditore ed al consumatore un prodotto ineccepibile sotto tutti gli aspetti.”
Non è soltanto una dichiarazione di intenti. I vigneti dell'azienda Reghini si compongono di 4 ettari siti nel cuore del Prosecco, a San Pietro di Barbozza, e di un piccolo appezzamento di Cartizze nella zona del Follo presso la frazione di Santo Stefano.
Il segreto è semplice: un lavoro meticoloso in vigna, una vendemmia che privilegia la selezionata raccolta a mano delle uve alla pigiatura soffice, la lavorazione in cantina che continua con le fermentazioni a temperatura controllata, capaci di conferire ai vini profumi eleganti e fruttati, oltreché gusti gradevoli e delicati al palato, per giungere poi alla fase della spumantizzazione.
Insomma un percorso virtuoso che dal vigneto passa per la cantina fino a giungere al bicchiere.
Lo spumante non muore in bocca, non lascia sgradevoli tracce nel palato, anzi, regala un retrogusto assai piacevole.
Il prosecco col fondo nasce da una particolare e personalizzata selezione di uve "cru" Prosecco. Vino di antica tradizione e genuinità, viene imbottigliato in primavera e fermenta dopo un lungo tempo in bottiglia, dove i lieviti gli danno peculiari proprietà organolettiche.
Sottolineiamo il fatto che la fermentazione in bottiglia dura del tempo,non come certi prodotti definiti sur lie che vengono sparati sul mercato velocissimamente e che, alla degustazione, rivelano rotondità da passaggio in autoclave.
Il prosecco tranquillo, pluripremiato, è un vino dal bouquet delicato e floreale che ricorda la mela acerba e il glicine.
Avanti così .La strada dell'eccellenza è difficile e impervia, ma paga. Sempre e comunque.
Az. Agr. Reghini Celestino
Strada Barbozza, 24
S. Pietro di Barbozza - Valdobbiadene (TV) - Tel. e Fax. 0423/973456 Cell. 3397862834
http://www.rivedelbacio.com/
email: rivedelbacio@hotmail.com
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