Abbiamo conosciuto la Dainese Rottami di Piove di Sacco, e queste ci ha dato uno spunto di riflessione..
I rottami metallici che si trovano in circolazione derivano o da scarti di lavorazioni industriali o da prodotti andati in disuso. Essi sono spesso accompagnati da altri materiali (plastica, gomme, legno, vetro ecc) e molte volte si presentano sporchi (di grassi, oli, polveri, vernici ecc.) e brutti a vedersi;. A livello europeo si è attribuito ai rottami metallici la qualifica di “RIFIUTI VERDI”; la denominazione scelta, scaturisce dalla semplice esigenza di far rientrare i rottami metallici tra quei materiali il cui trasporto, stoccaggio e lavorazione va effettuato con accortezza e seguendo precise modalità operative al fine di evitare che lo sporco che accompagna i rottami possa diffondersi nell’Ambiente circostante. L’utilizzo del termine rifiuto, purtroppo, è invece risultato infelice perché ha generato molta confusione con il concetto classico di rifiuto. Per rifiuto si intende “ciò che viene gettato o eliminato perché non utilizzabile” (vocabolario de agostani) non esistendo, quindi, un processo di recupero economicamente conveniente che ne possa garantire il riciclo.
Il riciclo è nel DNA degli operatori, che ogni anno raccolgono circa 16 milioni di tonnellate di rottame ferroso gli stessi operatori "hanno un importante ruolo economico, ma anche sociale; un ruolo che non deve essere minacciato dalla volatilità dei mercati".
Ora, ricordo che il miracolo del Nordest è nato anche da questo mestiere. Quand’ero piccolo, giravano personaggi stravaganti su degli Ape scassati, a cadenza regolare, i quali portavano il materiale in un’unica direzione, la fonderia Zoppas, che negli anni 60 e 70 era considerata una delle migliori in Europa, la quale poi riforniva gli stabilimenti Zanussi. Di tutto ciò resta solo un soprannome agli abitanti del comune di San Fior, ma pensandoci bene non deve essere un’offesa, ma bensì un onore.
DAINESE ROTTAMI SRL
Via Chiusa, 78/80
Sant'Angelo di Piove di Sacco (Pd)
http://www.daineserottami.it/
venerdì 14 maggio 2010
lunedì 10 maggio 2010
Olinda Giraldo, l’ultima inquilina del Casone Azzurro
Si ignora quando il casone fece la sua comparsa in Veneto. È certo che, sin dall'epoca tardo-romana nella regione c'era l'usanza di costruire ricoveri e magazzini utilizzando frasche e paglia, ma la loro evoluzione definitiva avvenne probabilmente dopo le conquiste della Serenissima. La terraferma, infatti, divenuto ora il "granaio" di Venezia, doveva far fronte al crescente fabbisogno alimentare della capitale e dell'esercito, allorché c'era bisogno di costruire rapidamente molti ricoveri per famiglie numerose, che rappresentavano la manodopera del tempo. Solitamente i proprietari terrieri offrivano ai mezzadri un fondo dove costruivano loro stessi il proprio casone che, inizialmente, era poco più che un capanno abitabile solo durante la stagione agricola. In seguito si andarono evolvendo in strutture più solide e squadrate, con molti elementi in muratura.
Da non dimenticare che esiste una differenza con i casoni di laguna, come quelli di Caorle: questi ultimi non presentavano muratura. Entrambi erano comunque molto facili da bruciare, ragion per cui non ne esistono in terraferma.
Ad Arzergrande, e precisamente a Vallonga, il comune ha restaurato uno degli ultimi casoni, il Casone Azzurro, ed abbiamo potuto visitarlo nell’occasione delle festa organizzata da Legambiente.
Ed abbiamo incontrato Olinda Giraldo, che l’ha abitato fino a quattro anni fa: il marito faceva il pescatore (siamo a due passi dalla laguna), ma il casone presenta le caratteristiche terragne: aveva un piccolo appezzamento di terra, c’è la stalla dove era ricoverata la mucca, una capra. I muri sono da 13, ma sostengono bene il tetto, che conserva le travi originali. Mi ha colpito un fatto: il pavimento era in terra battuta, ed ogni anno era letteralmente zappato e lo strato di terra superficiale sostituito, per fare pulizia. Olinda, nonostante tutto, aspira a ritornare qui, ma mi sa che i servizi sociali non ci sentono.
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