giovedì 14 ottobre 2010

Verteneglio, un paese ridente

Siamo stati a Verteneglio, edè un paese bello e ben tenuto. Vediamo un poco la storia.Al 1234 risale il più antico riferimento documentario alla località, presente in un atto di confinazione tra i territori di Cittanova e di S. Giorgio, quest’ultimo castello medievale alla foce del Quieto. Nel documento, il conte Mainardo è chiamato a decidere, quale arbitro, una questione vertente tra Vosalco di Momiano, Enrico di Pisino nonché il Comune di Cittanova da una parte, e Vidotto e Flabiano signori di S. Giorgio dall’altra. Tra le varie località nominate nel documento appare anche Ortoneglo (Verteneglio). Nel Cinquecento Verteneglio doveva essere già una borgata notevole se nei mesi estivi vi soggiornavano i vescovi emoniensi per sfuggire alla malaria. Sappiamo che proprio a Verteneglio, nel 1621, Massimo Rigo, vicario di Eusebio Caimo vescovo di Cittanova già canonico di Aquileia, dava una pergamena con la quale si voleva por fine alle liti sorte tra alcune famiglie buiesi per il diritto di nomina del prete addetto alla locale chiesa della Beata Vergine delle Grazie. Il Caimo, anzi, finì con il morire a Verteneglio il 18 ottobre 1640 e la sua salma fu trasportata ad Udine nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie.


Nella seconda metà del XVI secolo la borgata faceva parte delle parrocchie soggette a Cittanova, ma si apprestava a diventare parrocchia autonoma. Ciò avvenne il 27 gennaio 1580 con la visita apostolica del vescovo Agostino Valier. Come le altre località istriane, anche la nostra ebbe a soffrire le ripetute epidemie di peste. La mancanza di dati a riguardo non ci permette di affermare con certezza se fu risparmiata dal contagio prima del Seicento. Certamente non lo fu dall’epidemia del 1630 –31 che decimò la popolazione locale riducendola da 587 anime a 326. Verteneglio, dopo la peste, si riprese rapidamente. La borgata, favorita dal clima e dal terreno fertile, attirò molte famiglie dai paesi vicini, specialmente da Cittanova dove allora infieriva sia la peste che la malaria. Tra nuove famiglie che si insediarono ricorderemo i Rigo e i Busin, grossi proprietari terrieri e commercianti in legname, pollami e prodotti alimentari. Dal Friuli vennero boscaioli, artigiani, negozianti e coloni e la popolazione crebbe rapidamente attestandosi sui livelli precedenti l’epidemia. Strettamente legato alla peste è il problema della colonizzazione, intrapreso dalla Repubblica di Venezia per ridare vita all’agricoltura e all’economia in generale. L’insediamento di nuovi coloni si effettuava mediante l’investitura, per cui venivano concessi fondi e casali con l’obbligo al pagamento in natura del terratico e delle vigesime ecclesiastiche. Già sul finire del XV secolo la Repubblica di Venezia stanziò a Verteneglio e nella campagna circostante una trentina di famiglie dalmato-montenegrine, la cui presenza è documentata dai cognomi alcuni dei quali ancor oggi esistenti: Barnabà, Covra, Da Lesina (Delesina), Doz. Nel 1530 s’ebbero altri insediamenti nelle campagne di Buie e Cittanova ed, in seguito, negli anni 1540-41, furono ripopolate con Morlacchi e Dalmati le campagne abbandonate di Umago e nuovamente di Buie e Cittanova.

Va detto che questo tipo di colonizzazione non ebbe soltanto ripercussioni sulla struttura etnica del villaggio, ma contribuì anche a modificare le vecchie istituzioni sociali sino allora vigenti. Chi si stabiliva a Verteneglio e diventava proprietario di terre, dopo un decennio, poteva entrare a far parte della vicinìa, una forma assocciativa nella quale nuclei di coltivatori erano riuniti dall’uso o dalla proprietà dei terreni, dei pascoli, dei boschi ecc. Il contadino era qui un libero proprietario che coltivava i suoi poderi, oppure teneva in enfiteusi quelli dei proprietari appartenenti alla stessa vicinìa. Verteneglio era l'unica villa di Cittanova ricca di cereali, vino e olio; dalla Serenissima ricevette in affitto perpetuo il Bosco Cavalier e, nel 1574 la finida de Ortal e quella di Punta Comune in seguito usurpata dai Conti Sabini feudatari di Daila.

http://www.brtonigla-verteneglio.hr/

mercoledì 13 ottobre 2010

Mercoledì gnocchi con formadi frant e uva fragola al Tiro a Segno di Mirano

Mercoledì siamo stati al ristorante Tiro a segno di Mirano, e mi son messo a parlare col titolare mentre preparava gli gnocchi: uno spettacolo starlo a guardare.


Un po’ mi ha ingolosito e ci ha invitato a mangiare gli gnocchi, e io dritto in cucina mentre preparava il sugo: formadi frant. La ha sciolto in una padella insieme con del latte e della roba vegetale per stemperarlo. Poi ha aggiunto alcuni acini di uva fragola, un minuto o due tanto per dare appena il colore, lui dice che vuole solo delle striature. Poiha tolto gli acini dalla padella, ha tolto gli gnocchi venuti a galla, ha aggiunto il formadi frant e gli acini.

E poi a mangiare: una delizia.

Il formadi frant, è un formaggio di colore giallo scuro, in forme alte 10 cm e di diametro di 30-40 cm. Il sapore è a contrasto tra dolce e piccante, prodotto in Carnia. È il risultato della mescolanza di diversi formaggi tipo "latteria" a differente livello di maturazione (40-90/100 giorni-più di 7 mesi) sminuzzati a fettine, cubetti e scaglie con aggiunta di sale, pepe e latte. Il tutto è poi impastato a mano con aggiunta di panna per dare morbidezza al prodotto. La preparazione del Formadi frant, che spesso ancora oggi avviene in ambito familiare, aveva lo scopo di recuperare e conservare formaggi non idonei alla stagionatura, e perciò frammentati, poi miscelati e impastati con sale, pepe, latte e panna fino ad ottenere un composto omogeneo da consumarsi quando abbia acquisito, dopo circa 40 giorni di conservazione, il sapore particolare in cui il piccante è posto in contrasto con la sensazione di dolce.

L’uva fragola è una varietà di uva nera, introdotta in Italia intorno al 1825. Presenza di acini verdi (acinellatura) nel grappolo maturo. Ottimo sapore e possibilità di conservazione per alcuni mesi.



Ristorante Tiroasegno di Voltan Claudio

Via Belvedere, 27

30035 Mirano (VE)

Telefono: 0415791080

e-mail: tiro_a_segno@hotmail.it

martedì 12 ottobre 2010

Il pane della Ciociaria

Il pane ciociaro è un pane casareccio di forma rotonda o a pagnotta o a filone. La crosta si presenta di colore marrone dorato mentre la pasta interna è di colore biancastro con la caratteristica alveolatura. Gli ingredienti sono farina tipo 0, 00 e 1, lievito naturale, sale ed acqua.


Il pane di Veroli, anche così chiamato il pane ciociaro, ha antiche origini, come antichi sono i tanti forni che si trovano nei vicoli del paese.

I panifici di Veroli utilizzano i forni a legna per cuocere le pagnotte lievitate in modo naturale.

La tradizione dei panificatori di Veroli è stata inserita nell’atlante del pane realizzato dal professor Corrado Barberis presidente dell’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale di Roma. Una descrizione della tipologia e della realizzazione di un “pane millenario”, perché fatto ogni giorno con il lievito madre. Grande attenzione sta suscitando in questi ultimi mesi il pane della città ernica. “Il pane ciociaro è il pane di Veroli” ha detto il professor Barberis, che nel suo volume ha descritto centinaia tipi di pane differenti in tutta la penisola.

“Il nostro pane è un pane millenario, una tradizione forte che merita un documento che ne attesti la genuinità – ha detto Franco Sanità del direttivo Unione panificatori di Frosinone”. Il pane verolano è esportato per più del 60 per cento della produzione fuori dalla Ciociaria, in particolare nella Capitale dove è molto conosciuto. Una tradizione che affonda le sue radici nella cultura di un paese e che si espande ora anche agli onori di studi scientifici e nutrizionali e di riconoscimenti di qualità. Il Consiglio nazionale delle ricerche, inoltre presenterà uno studio intitolato: “Alla ricerca del pane perduto: batteri lattici contro lievito di birra, una lotta ancora aperta nella fermentazione degli impasti”. L'alto valore nutrizionale del pane potrebbe essere infatti condizionato dalla scelta del lievito: per quello industriale si utilizza esclusivamente il lievito di birra, mentre per quello artigianale e tradizionale viene usato un impasto acido che si ottiene dalla fermentazione dei cereali, sul quale l'Isa-Cnr di Avellino ha eseguito una apposita ricerca allo scopo di incrementare le attuali produzioni tipiche attraverso la conoscenza del prodotto su base scientifica. Proprio la scelta del lievito caratterizza il pane di Veroli, venduto a prezzi molto alti nel nord Italia. Nelle “Carte del Pane” viene indicato come ottimo complemento per le zuppe.

http://www.panediveroli.it/

La Casa del Sal di Sicciole

Sulla strada del confine fra Slovenia e Croazia, quella costiera, c’è una casa un po’ discosta e sfugge all’occhio, sulla sinistra, mentre sulla destra c’è l’ampia distesa della saline.


E’ la Casa del Sal. una piccola e incantevole casa contadina di tipo familiare, situata nel golfo di Pirano a soli 4 km da Pirano e a 2 km dall’Istria Croata., abitata da Darko e dai suoi avi da innumerevole anni.

La porzione primitiva era molto piccola, se la sono costruita e ampliata direi quasi mattone su mattone, e oggi è una bella casa, con una vista incomparabile. La magnifica vista che si gode dalla casa si apre sul Parco naturale delle saline di Sicciole, dove ancora oggi viene prodotto il sale marino, con sullo sfondo la Croazia e la punta di Salvore.

E’ veramente una chicca: la tradizione, le caratteristiche, un tocco di romanticismo e lo spirito casareccio hanno contribuito all’inserimento della Casa del Sal nel rinomato consorzio Europe of traditions “Case della tradizione”.

E poi l’accoglienza: gli ospiti, sì perché è diventata un agriturismo, vengono viziati con piatti istriani e mediterranei, preparati con frutta e verdura da coltivazione biologica e accompagnati sempre da un bicchiere di buon vino di casa.



CASA DEL SAL

Darko Maršič

Parecag 182, 6333 SICCIOLE, SLOVENIA

Tel: 00 386 41 666857

Fax: 00 386 5 6722016

salaro@casadelsal.com

http://www.casadelsal.com/contents/view/1/language:ita